MANTOVA Tramite raggiri, consistiti nel mostrare ai propri clienti false rendicontazioni indicanti profitti inesistenti e mediante l’utilizzo abusivo delle loro credenziali, avrebbe indotto gli stessi in errore circa la redditività dei loro investimenti tali da cagionare agli stessi un pregiudizio economico, derivante da minusvalenze, per oltre un milione e 300mila euro complessivi. Il tutto stante altresì la riconosciuta aggravante della minorata difesa. Si amplia dunque il ventaglio di contestazioni ascritte a Monica Laudini, la broker mantovana di Intesa San Paolo Private Banking finita sotto accusa, assieme al marito, per aver ingannato 39 suoi clienti che le avevano affidato i propri risparmi al fine di investirli. A stabilire la modifica del capo d’imputazione, che contemplava in origine le sole ipotesi di frode informatica, truffa aggravata e autoriciclaggio, è stato ieri il procuratore aggiunto di Brescia, Nicola Serianni, in accoglimento delle istanze di parte civile, avanzate in special modo dall’avvocato Luca Faccin. Un’udienza preliminare che ha visto inoltre la costituzione, quale responsabile civile, dello stesso istituto di credito – allo stesso tempo figurante altresì come parte offesa – e passibile ora di nuova citazione in capo alle ulteriori contestazioni ascritte all’indagata. Nello specifico, stando a quanto contestatole, tra il 2009 e il 2020 avrebbe fornito a 39 clienti rendiconti notevolmente gonfiati, e quindi falsi, sui loro investimenti, facendo figurare attività inesistenti – tramite altresì spostamenti di denaro da un conto ad un altro – per un totale di circa 6 milioni di euro. Denaro su cui si era messa ad indagare la Guardia di Finanza. Il tutto era partito da un cliente che il 19 novembre del 2019 si era presentato nella filiale di Intesa San Paolo a Mantova per un’operazione. Nell’occasione aveva ricevuto dal direttore la situazione aggiornata delle proprie attività finanziarie, ammontanti a 239mila euro. Quella stessa giornata il cliente aveva ricontattato la filiale per segnalare le discrepanze tra il prospetto fornito al direttore e quello che la consulente gli aveva consegnato due mesi prima, nel quale apparivano attività per 717mila euro. Un documento, come molti altri, risultato poi artefatto, in quanto riportante attività non veritiere e inesistenti. In molti, si erano chiesti dove fossero finiti quei soldi e perché la banca non avesse esercitato un’attività di controllo. Il comportamento della donna era quindi finito pure all’organismo di vigilanza dei consulenti finanziari che le aveva contestato d’aver comunicato informazioni e trasmesso documenti non corrispondenti al vero, di aver effettuato operazioni non adeguate, di aver ricevuto modulistica in bianco e di aver ricevuto i codici di accesso telematici ai rapporti di pertinenza della clientela. Per questo era stata sospesa. Secondo quanto sostenuto dalle parti civili dagli atti emergerebbe “in modo eclatante il totale omesso controllo da parte della banca” nei confronti della sua consulente finanziaria. Il gip di Brescia Gaia Sorrentino, competente distrettualmente per indagini su reati informatici, ha quindi rinviato la seduta al prossimo 27 maggio. In caso di rinvio a giudizio il processo verrà istruito a Mantova.