Uccise il marito a coltellate, a processo anche per la suocera

via mozart

MANTOVA A sollevare a suo carico l’ulteriore imputazione era stata la Corte d’Assise di Mantova all’esito del processo di primo grado. Per questo, Elena Scaini, 57 anni, condannata già in secondo grado a 18 anni di reclusione (21 anni in prima istanza) per l’omicidio del marito Stefano Giaron, sarà ora chiamata a difendersi pure dall’accusa di abbandono di persona incapace.
A rinviarla nuovamente a giudizio, stavolta innanzi al giudice monocratico Giacomo Forte a partire dal prossimo 24 aprile, è stato ieri in sede di udienza preliminare il gup Antonio Serra Cassano. Una nuova contestazione questa, afferente sempre il contesto delittuoso del 6 ottobre 2020, in cui la donna aveva ammazzato a colpi di lama il coniuge 51enne nell’appartamento di via Mozart che la coppia condivideva con l’anziana madre della vittima, Lina Graziati.
Ed è proprio quest’ultima, benché deceduta a fine novembre scorso all’età di 82 anni nella casa di riposo Villa Carpaneda di Rodigo, ad essere persona offesa in questo secondo filone processuale. Elena Scaini infatti (difesa dagli avvocati Silvia Salvato e Andrea Pongiluppi), dopo aver ucciso il marito all’esito dell’ennesima violenta lite scoppiata tra i due in ambito domestico, era quindi fuggita a bordo di un furgone lasciando la suocera sola in casa, ignara che il figlio fosse deceduto. La pensionata, affetta da morbo di Alzheimer e pertanto non in grado di badare a se stessa, era invece stata ritrovata a sua volta dai soccorritori tre giorni dopo il delitto all’interno di quella stessa abitazione, con numerose ferite da taglio nonché ancora in stato confusionale. Quando infatti le era stato chiesto dov’erano il figlio e la nuora aveva risposto dicendo che stava attendendo che tornassero dal lavoro.
Due giorni dopo in una struttura ricettiva a Zocca di Modena, sull’Appennino, la Scaini aveva tentato il suicidio. Una volta soccorsa aveva raccontato quanto in precedenza successo, confessando di aver colpito a morte il compagno per difendersi dall’ennesima aggressione da lui perpetrata nei suoi confronti.