Signora Torre, il prossimo 7 maggio interpreterà Susanna in “Le Nozze di Figaro” al Teatro La Pergola di Firenze, in replica fino a domenica 15. Una parte complessa e sfaccettata che ritrova ora, a quattro anni dal suo limpido debutto. Com’è mutato, se è mutato, in questo tempo, il Suo approccio al personaggio che nella Sua carriera ha segnato il felice incontro con la scrittura mozartiana?
L’approccio con i personaggi che di volta in volta si interpretano è indubbiamente influenzato dalla visione del regista con cui si sta lavorando, anche se chiaramente si parte sempre da ciò che suggerisce la storia, dal carattere che delinea il libretto e dal rapporto con gli altri protagonisti. È stato facile trovare Susanna dentro di me, mi sento molto affine a lei, all’integrità e all’intelligenza che dimostra, alla sua praticità, a una certa purezza. Direi quindi che l’approccio di oggi, grazie anche alla ripresa della regia di Jonathan Miller in cui sia la messinscena che l’interpretazione richiesta sono per così dire tradizionali, è forse ancora più naturale e spontaneo, anche se ho fatto tesoro di tantissimi spunti a me dati da Graham Vick, con cui ho debuttato il ruolo. Nella riuscita di una caratterizzazione incide tantissimo anche il rapporto scenico con i colleghi, e in questo caso si è creata una meravigliosa complicità.
Che donna sarà, quindi, oggi, questa Sua Susanna che Mozart pone al centro di un sottile, straordinario gioco di intrighi e colpi di scena?
Sarà una donna autentica, coerente con se stessa e i suoi sentimenti pur dovendo gestire appunto equilibri assai delicati, intelligente e… simpatica!
Nel Suo percorso artistico, Firenze rappresenta una sorta di stella fissa, un riferimento saldo che ha impresso alla Sua carriera una svolta decisiva. Qui, al Teatro del Maggio, ha cantato nella “Missa defunctorum” di Paisiello diretta da Riccardo Muti ed è stata diretta da Zubin Mehta in “Così fan tutte”. Cosa rappresenta, per Lei, poter tornare sul palco di questa città in cui tutto, o quasi, è iniziato?
Tornare qui è sempre meraviglioso, ormai mi sento a casa. A Firenze ho percepito da subito una grande energia positiva; sarà la sua infinita bellezza, la sua atmosfera che trasuda storia e fierezza. I traguardi artistici che ho raggiunto al Teatro del Maggio non hanno fatto altro che sancire questo legame. Dal punto di vista del mio percorso di cantante sento Firenze un po’ come una mamma, qui ho avuto esperienze tra le più significative e belle da ricordare.
Torniamo alle Nozze. Nella stagione 18/19 del Teatro dell’Opera di Roma, la Sua interpretazione aveva trovato un connubio straordinario nella regia del troppo presto compianto Graham Vick e nella direzione di Stefano Montanari. Cosa ricorda di quell’esperienza?
Ricordo la minuzia con cui abbiamo sviscerato i recitativi con Graham Vick, lavoro importante che purtroppo si fa raramente, per trovare sempre la verità del testo e rendergli giustizia a livello interpretativo, e non meno significativo è stato l’apporto musicale che diede Stefano Montanari, un vero specialista da cui ho imparato tantissimo sullo stile mozartiano. È stato un lavoro di grande sinergia tra regia e musica, che aveva l’obiettivo di dare un taglio originale, quasi capovolto, al senso della storia, ma assolutamente logico e sempre atto a lasciare un messaggio, come ogni produzione del compianto Maestro Vick.
Qui, a Firenze, la bacchetta è affidata a Theodor Gushlbauer, mentre la regia di Georg Rootering riprende un’idea di Jonathan Miller. Evitando sterili confronti ed altrettanto antipatiche indiscrezioni, qual è, a Suo avviso, la cifra che caratterizza la visione di fondo di questa lettura del capolavoro mozartiano?
La produzione è assolutamente addentrata nel suo tempo, da libretto, ma penso che la caratteristica più peculiare che la differenzia da altre regie tradizionali sia che non viene messo in luce quel sapore prerivoluzionario che sottintende una rivalsa della servitù rispetto ai padroni e quindi anche un certo distacco nei rapporti, ma al contrario c’è una complicità particolare e una confidenza quasi paritaria tra la coppia di conti e Susanna e Figaro, e anche in generale con tutti gli altri personaggi che fanno parte della quotidianità familiare del contado. Mi viene da pensare a una famiglia nobile in vacanza nella villa in campagna che allenta un po’ le redini della solita “etiquette” imposta dalla posizione sociale. Nel senso generale di questa lettura sento di poter mettere ancora più in risalto non solo la complicità tra Susanna e la Contessa, evidente nel loro famoso duettino della canzonetta, ma anche quelle caratteristiche che la fanno essere una serva sui generis, direi un po’ speciale e indubbiamente carismatica. Dal punto di vista musicale la lettura di Theodor Guschlbauer è assolutamente in linea con il Mozart classicista che si confà a questo tipo di spettacolo.
Lei è giovanissima, eppure la Sua carriera vanta già un repertorio ampio e quanto mai sfaccettato., contraddistinto da una versatilità che da subito L’hanno portata a confrontarsi con pietre miliari della letteratura novecentesca come lo “Stabat Mater” di Poulenc e con pagine strettamente contemporanee quali, ad esempio, “Il Minotauro” di Silvia Colasanti, splendido affresco presentato al Festival di Spoleto del 2018. Quanto secondo Lei è importante per un interprete, oggi, l’incontro con i linguaggi espressivi del presente?
Sicuramente è molto interessante confrontarsi con composizioni contemporanee, innanzitutto a livello culturale si ha l’opportunità di conoscere come si è evoluta la musica nel tempo e gli argomenti che tratta, e poi dal punto di vista pratico e quindi esecutivo spesso si tratta di sfide avvincenti, decisamente formative sul piano della preparazione musicale e talvolta tecnica, nel caso in cui si debbano affrontare scritture impervie.
Questi sono tempi drammatici per il mondo tutto, tempi in cui anche l’arte sembra non potersi sottrarre ad esprimere, e a subire, una presa di posizione. Come vive, da artista oltre che da giovane donna, questa surreale tragedia che improvvisamente è calata sui nostri giorni? Quale pensa possa essere il contributo della musica e della condivisione musicale in tutto questo?
Mai avrei pensato di vivere così da vicino anche una guerra, che per ora non è mondiale sulla carta, vedremo l’evolversi delle cose. Pensavo fosse un linguaggio di forza ormai superato quello dell’imperialismo, almeno in Europa. Chiaramente sono addolorata per chi vive direttamente la morte e la distruzione ogni giorno e sono preoccupata in generale per le sorti del mondo se ci sarà un’escalation importante. La musica ha sempre raccontato gli orrori della guerra e delle tragedie umane, e ha sempre suonato in onore dei caduti e per la pace. Penso sia una delle forme più potenti di denuncia e allo stesso tempo il linguaggio più universale nell’unire i popoli in quanto Umanità. È importante quindi anche la partecipazione della musica in questo terribile momento storico, anche se rimane un gesto simbolico, ma senza i simboli non possiamo ricordarci chi siamo.
Può svelarci qualcosa circa i Suoi prossimi impegni sul palcoscenico?
Purtroppo i teatri non hanno ancora pubblicato ufficialmente la prossima stagione e non posso quindi anticipare nulla, ma ci saranno dei bei debutti e dei rincontri… anche mozartiani!
Elide Bergamaschi