Sempre più donne scelgono la chirurgia, specializzazione tradizionalmente maschile: la testimonianza di Sara Cavallari

MANTOVA – Per celebrare l’8 marzo, tra le tante storie raccolte in questo inserto, c’è anche quella di Sara Cavallari, giovane chirurgo dell’ospedale Carlo Poma. Lei, sposata con un’anestesista rianimatore e mamma da soli 11 mesi di Lorenzo, è dirigente medico con specializzazione in chirurgia generale presso l’Unità operativa complessa di chirurgia generale. E’ sempre di corsa con un bambino piccolo da gestire, il marito Antonio è bravissimo e l’aiuta, anche perché le famiglie d’origine sono lontane, lei arriva da Ferrara e il compagno da Roma. Tra la sala operatoria, i pazienti da sentire e il lavoro in corsia, il tempo è veramente poco, ma lei riesce comunque ad incastrare tutto. Quando parla del suo lavoro è entusiasta e non è difficile percepire che fare il chirurgo per lei è una passione e anche una vera missione.
Perchè ha scelto questa professione, non facile?
«Vengo da Ferrara dove ho frequentato liceo e università, ho fatto poi la scuola di specializzazione a Brescia e dopo vari concorsi sono stata assunta dall’azienda ospedaliera di Mantova. Arrivo da un ambiente che possiamo definire “sanitario”, visto che mio padre è medico e questa figura, fin da piccola, mi ha sempre affascinato. Ho avuto poi un professore al liceo che mi ha fatto amare la scienza e, soprattutto, la parte inerente al corpo umano. Ha tramesso ai suoi studenti una vera passione per l’ambito medico tanto che nella classe la maggior parte di noi, dopo il diploma, ha scelto medicina o professioni sanitarie. Per quanto riguarda poi la specializzazione, devo ammettere che “chirurgia” in effetti non è stata la prima scelta. Mi sono innamorata di tale branca quando ho iniziato a frequentare la sala operatoria. Lo considero, ovviamente, il lavoro più bello del mondo: dove c’è un problema taglio, lo elimino e, anche se non sempre si riesce a risolvere, si cerca di fare il possibile per superare l’ostacolo».
Nella sanità italiana la presenza femminile è aumentata notevolmente. Tuttavia, se si guarda alle posizioni dirigenziali e di vertice ci si accorge che una vera parità di genere è ancora lontana. Allo stesso modo sembrano persistere pregiudizi e remore in una quota non irrilevante di pazienti nei confronti delle donne medico …
«Se è vero che sempre più donne scelgono la chirurgia, una specializzazione tradizionalmente maschile, è anche vero che nell’immaginario collettivo il pregiudizio esiste ed è persistente, me ne sono resa conto durante la scuola di specializzazione. Nessuno mi ha mai detto esplicitamente “non lo puoi fare perché sei donna”, però mi è capitato spesso che si preferiva far andare in sala operatoria lo specializzando maschio, o chi ci insegnava si riferiva allo specializzando maschio piuttosto che alla collega. Al contrario, infatti, si tendeva a tenere le dottoresse in reparto per fare database e occuparsi della parte burocratica. Una situazione, questa, che però non mi ha mai fermata: se mi si diceva “questo lavoro non è per te” io mi impegnavo ancora di più. Rimanevo più ore in sala operatoria per imparare il più possibile, dovevo dimostrare che valevo tanto quanto, o forse anche di più, dei colleghi uomini. Un sacrificio che alla fine mi ha ripagato: quei professori che prima storcevano il naso davanti ad una donna chirurga, hanno poi dovuto ricredersi. Entrata poi nel mondo del lavoro e diventata di ruolo a Mantova, le cose sono nettamente cambiate: sia con il mio direttore che con l’equipe, infatti, non ho mai avvertito nessuna differenza di genere. Con i pazienti, invece, è diverso. L’approccio è sempre “scusi signorina, ma quando arriva il medico, ma mi opera lei? Ma quanti interventi ha fatto?”, purtroppo per colpa di preconcetti è ancora difficile pensare che una donna possa essere un dottore e men che meno che la stessa possa operare. Con il tempo ho imparato a sorridere e a convivere con questo pregiudizio, cerco ovviamente di precisare che il chirurgo sono io, anche perché devo far capire a chi ho davanti che non è abbandonato a se stesso, ma c’è qualcuno che lo segue. Occorre far comprendere che la validità di un medico non si valuta dal genere ma dalla sua professionalità e dalle sue capacità ».
Dove, nella sua storia, il ruolo femminile ha fatto la differenza?
«A memoria non ricordo un evento particolare. Devo dire però, ma magari va al di là del fatto di essere donna perché forse è legato al mio carattere, sono molto organizzata e precisa. Anche essere diventata mamma mi ha spronato ad essere ancora più metodica, oserei dire al millimetro, sia a casa che sul lavoro».
Se diamo uno sguardo a quello che accade oggi nel mondo, non le viene da pensare che le donne non sempre hanno la libera scelta?
«In certi ambiti sì, assolutamente. A parte quello che è lo scenario mondiale e nazionale, dove purtroppo gli eventi sono veramente tragici, ancora nella vita di tutti i giorni, quella normale e banale insomma, la donna fa fatica a gestire vita privata e lavoro, me ne sono accorta ancor di più da quando sono diventata mamma. Grazie al sostegno e all’aiuto dei colleghi e della dirigenza del reparto, dopo la gravidanza sono riuscita a reinserirmi in modo agevole, ma per colleghe di altri reparti non è stato così facile. Esistono politiche sociali che ci vengono incontro, a Mantova ad esempio vi sono asili nido gratuiti, ma non sono sufficienti, se infatti il bimbo sta male e io devo stare a casa? E’ vero che la legge mi tutela, ma nel contempo vado a pesare sui colleghi che devono sostituirmi e magari fare doppi turni. Oltre a risolvere l’ormai conclamata mancanza di medici, bisognerebbe poter contare su più risorse economiche e dare modo a noi donne di poter scegliere di diventare mamme, senza sentirci in colpa».
Sabrina Cavalli