MOGLIA Anni passati su un palco assieme a varie band e, nei momenti di più intima solitudine, la scrittura di canzoni che sai che, al momento giusto, troveranno spazio. Il loro spazio. Quelle canzoni quello spazio l’hanno trovato ed il momento è adesso: da cantante a cantautore solista, una sorta di rinascimento artistico per il mogliese Emiliano Giubertoni. Un album che avrebbe potuto uscire in qualunque istante, ma che ha scelto l’anno più strano di questo millennio per vedere la luce.
Emiliano, quand’è scattata la scintilla che ti ha portato a pensare di fare un tuo album?
«Il progetto solista nasce nel corso degli anni, non è un’idea recente. Ho avuto varie esperienze con tante band (Kinderheim 27, Antistatica, A Walk, Magazzini del Sale), ma c’erano sempre quei momenti in cui mi eclissavo, scrivendo pezzi solo per me. Una vera e propria scintilla non c’è mai stata, piuttosto è stata una presa di coscienza dopo la scomparsa di una cara amica»
Raccontaci meglio.
«Katia Pognani, di Marcaria, è stata una mentore per me. Con gli A Walk girammo un video a Corte Castiglioni, ci siamo conosciuti lì. È nata una bella amicizia e la sua scomparsa è stata uno shock assurdo. Dopo la sua morte mi sono tornate alla mente le parole che mi aveva detto dopo che le avevo fatto ascoltare qualche mia demo: “Devi metterti in gioco”. Così, ho iniziato a riascoltare ciò che ho registrato per conto mio, circa una trentina di canzoni. E lì ho deciso che era giunto il momento di un album solista»
Che tipo di scrittura ti contraddistingue?
«I migliori testi li ho sempre scritti in momenti di difficoltà: quando sto male, ho una sensibilità che mi permette di scrivere qualcosa di importante. Al contrario, quando sto bene scrivo testi pessimi, e questo mi manda in crisi (ride, ndr)»
Un’idea di scrittura quasi alla Baudelaire. Che album sarà?
«Sette pezzi cantati e tre, quattro strumentali, con delle fusioni ambientali, suoni della natura e del mondo fuori dalle quattro mura. Con Simon, il produttore del Pick-Up Studio di Rubiera, persona dall’orecchio sopraffino che all’estero fa delle cose straordinarie soprattutto nel mondo dell’elettronica, stiamo lavorando alla grande. Io realizzo i pezzi voce e chitarra, lui li arrangia e assembla il resto delle sonorità. A breve uscirà il primo singolo, “Corteccia”, che anticiperà l’album»
A livello di sonorità, che è Emiliano Giubertoni come artista solista?
«Mi divido tra due mondi distinti ma paralleli, ovvero l’acustico e l’elettronico»
Esiste un filo rosso che collega il tuo album e il tuo progetto solista?
«Nel mio appartamento ho creato una sorta di micro mondo, tanto da registrare ogni pezzo in una camera diversa, per fare assorbire ai brani i rumori della casa e quelli che vengono da fuori. Ecco, quel micro mondo è il filo rosso del mio album, la mia dimensione, la mia casa, il mio porto sicuro».