Belfanti: “Perquisita anche la bara di mia madre”

MANTOVA Accetta, suo malgrado, la condanna in via definitiva a 9 anni di detenzione per associazione a delinquere. «Non è una roba che ha a che fare con la mafia, ma con dei soci che avevano taroccato i contachilometri di auto usate che vendevamo, e per la cui vendita mai comunque ho avuto contestazioni dai clienti. Ma ormai la sentenza è passata in giudicato e non ho nulla da dire, se non ciò che mi ha detto un alto funzionario dello Stato: “A Napoli per un reato simile non avresti preso nemmeno 9 giorni”».
Pier Vittorio Belfanti, 62 anni, imprenditore marmirolese da qualche tempo, cioè dall’aprile scorso, in regime “elastico” di detenzione (nel suo istituto di pena milanese trascorre solo le notti, ma con riconoscimento del diritto di poter comunicare con l’esterno e con i figli) sente comunque il peso di quanto costruito a suo danno in fase istruttoria, con la volontà – parole sue – di smontarne la fortuna imprenditoriale anche con forzature procedurali.
«Fecero accertamenti sommari, e credettero (parlo della Guardia di Finanza) di avere scoperto un mio conto all’estero di 80 milioni. Il tutto sulla base di assegni per 80mila euro, peraltro tracciabile, che era in realtà di 80mila euro. Non posso dimenticare ciò ce hanno fatto per cercare quegli “80 milioni” mai esistiti. Mia mamma – ricorda con evidente disappunto Belfanti – è scomparsa il 28 novembre 2005. Il 30 novembre ricevemmo la perquisizione nella camera ardente allestita nella sua casa, dove io non vivevo da anni. La Guardia di Finanza, procuratasi il mandato con documenti non veritieri, venne anche lì a cercare quegli “80 milioni” mai esistiti. Io questa la chiamo “vergogna”. Mentre soffrivo davanti a mia mamma, mi parve persino che sorridesse, ricordando le parole di mio papà: “Il bene trionfa sempre”». E il bene ha trionfato per davvero?
«Dopo 18 anni ho avuto giustizia. Ma per quell’azione ho atteso anche meno. Un magistrato di Mantova chiamò me e l’avvocato Davide Pini da parte e disse: “Le chiedo scusa a nome del popolo italiano”.