Blitz dell’Antimafia, preso un mantovano

MANTOVA Un 28enne originario di Viadana e residente a Brescello è stato arrestato su mandato della Dda di Bologna nell’ambito di un’indagine che rientra nell’operazione Grmilide sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta calabrese al nord. Si tratta di  Manuel Conte, che era già stato arrestato nel blitz dello scorso giugno dell’operazione Grimilde, e poi messo ai domiciliari. Ora è tornato in carcere con la pesante accusa del reato associativo. Insieme a lui l’Antimafia bolognese ha arrestato anche  Paolo Grande Aracri, nipote di  Nicolino Grande Aracri, boss indiscusso dell’omonima cosca della ‘ndrangheta di Cutro, già imputato (e condannato) nei processi Aemilia e Pesci. A portare in carcere i due affiliati al clan Grande Aracri è stata una vicenda per certi versi minimale, una serie di estorsioni per l’acquisto, anzi l’esproprio di un bar di Parma. A investire di importanza questa vicenda che rientra comunque nell’inchiesta Grimilde, è il fatto che a fare scattare le indagini condotte dalla squadra Mobile di Parma, è stata la denuncia della vittima delle vessazioni e delle violenze, un fatto quasi del tutto inedito anche a queste latitudini, segno della radicatezza del potere della criminalità organizzata sul territorio e, con questa denuncia, anche delle crepe che grazie processi come Aemilia, Pesci e Kyerion stanno cominciando ad apparire nel muro di omertà che da sempre ha protetto queste organizzazioni. La vicenda venuta alla luce è tipica del  modus operandi della criminalità organizzata. Prima una coppia vicina alla cosca contatta un barista che ha deciso di mettere in vendita il proprio locale. L’accordo è ormai fatto pere 45mila euro quando ecco subentrare nella trattativa Paolo Grande Aracri che senza mezzi termini dice al proprietario del bar che il locale se lo prende lui e lo costringe a firmare un atto con una garanzia di 10mila euro che però non vedrà mai. Vedrà invece e suo malgrado molto spesso Manuel Conte, considerato dagli inquirenti il braccio violento della cosca. Quando il barista, che continua a lavorare nel locale come dipendente, reclama i suoi soldi, sono botte e minacce. Una situazione di continui soprusi che va avanti per mesi, fino a quando la vittima decide di denunciare i propri aguzzini e farli finire in carcere, contribuendo a scrivere un’altra pagine importante del libro sulla ‘ndrangheta infiltrata al nord.