Clandestino con famiglia voleva mettersi in regola facendo lavori socialmente utili: rimpatriato

MANTOVA Ha deciso di mettersi in regola con la giustizia italiana nel momento sbagliato, se mai ne esiste uno giusto, e la giustizia italiana ha posto fine ai suoi 10 anni di clandestinità rispedendolo in Tunisia. In mezzo a quei dieci anni da clandestino c’è però una famiglia: una compagna regolarmente residente a Mantova e un bambino che va regolarmente a scuola e che da qualche giorno non ha più il padre accanto. A fare precipitare improvvisamente una situazione rimasta in bilico per circa 10 anni è stata la decisione di un 54enne tunisino di chiedere la messa alla prova per estinguere un reato (minacce) che risaliva a sette anni fa, quando è nato il suo bambino. Il tribunale di Mantova gli ha concesso la messa alla prova ma nello stesso tempo questo uomo “sommerso” è improvvisamente riemerso ed è stato individuato dalle forze dell’ordine. È dunque partito l’iter per la regolarizzazione della sua posizione in italia, che tradotto significa espulsione con rimpatrio immediato; il tunisino è stato portato a Roma e già oggi potrebbe essere su un volo di sola andata per Tunisi. Tutto ciò “senza avere neanche la possibilità di salutare il suo bambino e la sua compagna” ha scritto sul suo profilo facebook l’avvocato Guseppina Coppolino, difensore del tunisino. «La sua storia – spiega il legale – è per certi versi esemplare. Entrato regolarmente in Italia aveva poi perso il lavoro. Allora aveva fatto domanda per la sanatoria e aveva anche trovato un imprenditore disposto ad assumerlo, solo che durante la procedura questi è deceduto. Da allora – prosegue Coppolino – ha tirato avanti lavorando in nero. Non rubava, non spacciava, non bighellonava ma si faceva sfruttare pur di restare con la sua famiglia. Ora dovrà tornare in Tunisia, dove non ha più nessuno, non ha un lavoro, una famiglia, nulla; e quel che è peggio è che dovendo rinunciare alla messa alla prova accordatagli dal giudice finirà a processo penale con possibilità di condanna e impossibilità di ritorno in Italia».

Carlo Doda