MANTOVA Dopo il successo e il grande afflusso di pubblico dell’evento di apertura del ciclo “I lunedì del D’Arco” dedicato alle grandi viaggiatrici della storia, lunedì 10 febbraio alle ore 21 l’Accademia Teatrale Campogalliani presenterà la figura di Freya Stark, la viaggiatrice dei deserti per la regia di Maria Grazia Bettini.
Freya non ha ancora due anni quando attraversa le Dolomiti in una cesta con i genitori appassionati di montagna. Il viaggio è nel suo destino, anche se ancora non lo sa. D’altronde è nata settimina durante un viaggio a Parigi. Aveva fretta di venire al mondo e ha voluto restarci a lungo. È scomparsa nel 1993 a 100 anni, più di 50 dei quali trascorsi in viaggio. Con i frequenti spostamenti fa i conti sin dall’infanzia al seguito dei genitori artisti: pittore e scultore il padre, pittrice e pianista la madre. Vivevano tra l’Inghilterra e l’Italia, si spostavano spesso. In Italia Freya lasciò il cuore e tornò a riprenderlo molti anni dopo stabilendosi ad Asolo, il solo luogo che considerò casa sua. Gli Stark vi avevano abitato per un po’, in paese c’era una combriccola di artisti inglesi. Uno di loro, Herbert Young, le lascerà Villa Freya. Un viaggio lungo una vita. Infanzia e adolescenza trascorrono spostandosi, prima con entrambi i genitori, poi con la madre separata. A tre anni parla tedesco e italiano e nel tempo arriverà a conoscere una decina di lingue, dall’arabo al persiano al turco: “Anche il paese più spento – dirà – ha una sua anima se sei in grado di capire cosa dicono le persone; e non solo le parole, ma i pensieri che le formano.”
“Credo che all’origine della faccenda ci sia una zia molto fantasiosa che per il mio nono compleanno mi regalò una copia delle Mille e una notte.” Inavvertita e perciò negletta fino ad allora, la piccola scintilla accesa in questo modo cominciò in segreto a nutrirsi di sogni.
Si interessa presto di storia e letteratura, studia latino da autodidatta e francese con le suore di un convento. Il richiamo dell’altrove è potente ma partirà solo a 34 anni. Destinazione Beirut, dove intende perfezionare l’arabo che studia dal 1921. In quel periodo viveva con la madre in Liguria e prendeva lezioni da un frate cappuccino. Nel corso dei molti viaggi in Medio Oriente sarà cartografa, archeologa, informatrice del governo britannico. Conoscendo bene territori e mentalità delle persone è l’interlocutore perfetto negli anni del colonialismo inglese. Racconterà la sua missione in Effendi.
Ma soprattutto sarà una viaggiatrice mossa dalla curiosità e dal desiderio di incontrare gli altri: “Se mi si chiedesse di elencare i piaceri del viaggio, direi che questo è uno dei più importanti: che così spesso e inaspettatamente si incontra il meglio della natura umana, e a vederlo così, di sorpresa e spesso in situazioni talmente improbabili, si arriva, con un piacevole senso di gratitudine, a realizzare quanto ampiamente siano sparse nel mondo la bontà e la cortesia e l’amore per le cose immateriali, che fioriscono in ogni clima, su qualsiasi terreno.”
Scrive una trentina di libri, viaggia instancabilmente, diventa icona di emancipazione femminile. Muovendosi da sola in territori difficili deve affrontare ogni difficoltà con le proprie risorse e dell’essere donna fa uno scudo di protezione anziché una debolezza: “La grande e quasi l’unica consolazione di esser nata donna sta nel fatto che possiamo fingerci più stupide di quello che siamo e nessuno se ne meraviglia.”
I viaggi li annota sui diari personali e in una fitta corrispondenza con personaggi del panorama socio-politico e culturale. Conosce Lawrence d’Arabia e Churchill, riceve riconoscimenti dalla Royal Geographic Society, è amica della Regina Madre e assiste all’incoronazione di Elisabetta II in uno sgargiante kaftano di colore arancio. Freya era nota anche per la sua stravaganza nel vestire.
Confidando nella conoscenza delle lingue e affidandosi all’aiuto degli abitanti e al sostegno di personaggi influenti, se la cava in ogni situazione in paesi che quasi nessuno osa percorrere. E di certo nessuna donna occidentale, tanto meno da sola. Sola si addentra nella Valle degli Assassini con un lettino da campo, una zanzariera e una guida locale. Sono gli Anni 30 e la regione non è ancora stata mappata, lo fa lei. Sola viaggia lungo la Via dell’Incenso inoltrandosi nell’Hadramaut.
Tutto inizia a Trieste nel 1927: salpa per il Libano, poi raggiunge Egitto, Siria, Iraq, Iran, Arabia Meridionale, Afghanistan, India. Si ammala spesso ma non si ferma mai. Tra un viaggio e l’altro torna a studiare lingue e storia, disegno e cartografia. Prima di ogni partenza si prepara a lungo sui costumi di ogni popolo. Con grande costernazione dei circoli coloniali di Baghdad sarà con la gente comune che amerà mescolarsi. Era disposta a sopportare tutto, a viaggiare a piedi, a dorso di mulo o di cammello, a rinunciare a ogni agio: “Viaggiare significa ignorare i fastidi esterni e lasciarsi andare interamente all’esperienza, fondersi con tutto quello che ci circonda, accettare tutto quello che succede e così, in questo modo, fare finalmente parte del paese che si attraversa.”
Fino alla fine si imbarca in imprese avventurose. Ha 84 anni quando ridiscende il corso dell’Eufrate a bordo di una zattera, 88 quando scala l’Himalaya a dorso di pony, 90 quando percorre il deserto di Aleppo. “Per conoscere bisogna andare nei luoghi, incontrare la gente, parlare con loro. Solo allora tutto il mondo ti viene incontro come un’onda.” Non si accasa in giovane età come ci si aspetta da ogni donna dell’epoca. Negli anni piemontesi rifiuta di sposare il conte che diventerà il marito della sorella. Durante il servizio da infermiera a Bologna conosce un batteriologo a cui si promette ma il matrimonio viene rimandato e poi sfuma. Lui la lascia con una lettera, senza spiegazioni. Prenderà marito solo a 46 anni. Steward Perowne è un diplomatico inglese ma le nozze durano poco. E Freya riparte per l’Asia Minore. Negli ultimi anni si ritira ad Asolo. Chi frequentava la sua casa ricorda enormi bauli zeppi di album di fotografie, la ricca biblioteca e memorie di viaggio sparse ovunque.
“Chi vuole viaggiare in pace deve trovarsi un pretesto più spirituale del puro godimento” – questa era la sua filosofia – “ Spesso, nel nostro mondo utilitaristico, fare le cose per divertimento passa per fatuità, anzi per immoralità.”
L’evento vedrà esibirsi sul palcoscenico le attrici Margherita Governi, Eleonora Ghisi, Rossella Avanzi e Francesca Campogalliani. La scelta dei brani musicali e il sonoro sono affidati a Nicola Martinelli, mentre le luci a Giorgio Codognola.
Il prossimo appuntamento sarà lunedì 17 febbraio con Alexandra David-Neel la prima donna occidentale a Lhasa a cura di Andrea Flora.
Tutte le serate, che avranno inizio alle ore 21, sono ad ingresso libero, senza prenotazione, sino ad esaurimento posti. Per informazioni www.teatro-campogalliani.it oppure telefonando allo 0376 325363 dal mercoledì al sabato dalle ore 17 alle ore 18,30.