Omicidio colposo e incendio doloso, confermati i 14 anni a Gianfranco Zani

SABBIONETA – Quattordici anni di reclusione per incendio doloso e omicidio colposo confermati anche in secondo grado. Questo quanto deciso dalla Corte d’Assise d’Appello di Brescia, avallando in toto la sentenza emessa un anno fa in prima istanza a Mantova, nei confronti di Gianfranco Zani, il 55enne di Casalmaggiore finito in carcere per aver appiccato il fuoco all’abitazione coniugale, con conseguente morte per asfissia del figlio 11enne Marco, il 22 novembre 2018 a Ponteterra di Sabbioneta. Un verdetto, quello arrivato ieri a quasi 2 anni di distanza da quei tragici fatti, che nella sostanza sposa appieno, quanto già statuito lo scorso dicembre dai giudici virgiliani, a fondamento della tesi difensiva sostenuta dall’avvocato Laura Ferraboschi. Il legale dell’ex artigiano anche in detta seconda sede infatti aveva chiesto la derubricazione di entrambi i capi d’imputazione, con conseguente riqualificazione dell’omicidio volontario in omicidio colposo e dell’incendio doloso in danneggiamento (fattispecie quest’ultima che potrebbe trovare appendice in Cassazione); questo, secondo il difensore a fronte dell’assenza nel caso di specie del cosiddetto dolo eventuale – come invece sostenuto altresì dalla procura generale di Brescia – vale a dire della consapevolezza nell’imputato che l’attuazione di una sua condotta illecita potesse determinare conseguenze ben più gravi, accettandone dunque ugualmente il rischio. In altre parole, stando al dispositivo, Zani è stato ritenuto responsabile di aver appiccato il rogo ma non di aver voluto uccidere il figlio. Tale versione era stata corroborata in sede processuale da un’intercettazione ambientale, circa un colloquio captato in carcere tra l’imputato e la propria sorella. In tale conversazione l’uomo aveva ammesso di essere entrato quel pomeriggio nella villetta di via Tasso con l’intento preciso di bruciare la biancheria intima dell’ex consorte, la 41enne Silvia Fojotikova e di aver per prima cosa verificato se in casa ci fossero i figli, chiamandoli a voce alta; non ricevendo alcuna risposta aveva quindi salito le scale dirigendosi nella camera da letto matrimoniale. Lì nell’armadio aveva trovato alcuni capi d’abbigliamento della consorte, al quale con un accendino aveva infine dato fuoco. Con quel gesto, come dichiarato anche da lui stesso durante l’istruttoria, «voleva parzialmente vendicarsi per tutto quello che lei gli aveva fatto patire». Infine visto le fiamme avvolgere l’abito in fibra sintetica aveva portato fuori i cani e se n’era andato. Totalmente differente invece la proposta detentiva avanzata in requisitoria sia dal pubblico ministero di via Poma che dal procuratore generale, i quali per l’imputato avevano invece chiesto entrambi l’ergastolo; carcere a vita, oltre ad una provvisionale anche per la parte civile. «Questo secondo verdetto – ha dichiarato a caldo l’avvocato Ferraboschi – conferma quanto fosse ben strutturata la sentenza del presidente Enzo Rosina». Motivazioni tra 70 giorni.