Guariti dal virus che ha decimato la caserma, ora i militari donano il plasma

MANTOVA Alla fine il cerchio si è chiuso come doveva chiudersi, ovvero con la donazione del plasma fatta proprio ieri all’ospedale Carlo Poma, dopo un calvario durato circa un mese e mezzo. A “prestare il braccio” tre carabinieri della stazione di Marcaria, che nel giro di pochi giorni è stata decimata e chiusa per Coronovirus, ed ora ha finalmente ripreso la piena attività.
Nei corridoi del Poma ci si ride anche su giocando a scaricabarile su chi sia stato l’untore, ma aver toccato con mano il Covid-19 è stato davvero un’esperienza terribile. A raccontarla il comandante della stazione  Mauro Fiorita, ancor oggi provato dalla lunga lotta con la malattia. “E’ stata dura – ha detto – ma alla fine ce l’abbiamo fatta. Ho vissuto giorni incredibili in cui mi sembrava di essere finito in un frullatore di emozioni con mille stati d’animo che cambiavano così velocemente lasciandoti in un tempo sospeso”.
Quella notte, la prima notte in cui il Covid-19 ha bussato alla porta è difficile da dimenticare: “Avevo la febbre alta, oltre 39°, e fino a quando non sono stato davanti alla realtà ho sperato che non si trattasse di Coronavirus. Purtroppo il palesarsi giorno dopo giorno dei sintomi comuni al virus mi ha sciolto le certezze: avevo perso appetito, i sapori non li sentivo proprio più, avevo la tosse e via dicendo. La mia fortuna è stata quella di poter fare il tampone in tempi brevi e così nel giro di poco mi è stata diagnosticata la positività”.
Fortunatamente non c’è stato bisogno di far ricorso al ricovero, il militare è stato infatti seguito attentamente a domicilio per 35 lunghi giorni. “Dopo di che ho effettuato il primo tampone, che è risultato negativo, idem il secondo che ha sancito l’uscita dal tunnel”.
Anche gli altri tre militari della stazione di Marcaria non hanno dovuto ricorrere alle cure ospedaliere, ma hanno osservato il periodo di quarantena a domicilio, dopo essere risultati positivi al tampone. Uno era asintomatico, l’altro presentava da giorni qualche linea di febbre, mentre il terzo aveva una forma di indisposizione. Non fosse stato per la positività del comandante, nessuno di loro avrebbe mai pensato al virus. Il tampone a cui sono stati sottoposti ha invece fugato ogni dubbio. Da quel momento stazione chiusa per insufficienza d’organico.
Un vero e proprio calvario, finito nel migliore dei modo e coronato con un gesto di grande solidarietà come la donazione del plasma. “Nemmeno a farlo apposta – racconta ancora Fiorita – ci siamo ritrovati tutti e tre in ospedale per la donazione: nessuno sapeva dell’altro. Abbiamo ricevuto la chiamata da parte dell’ospedale e la relativa convocazione per il giorno stesso credo in modo casuale. E’ stato bello, ci siamo sentiti utili e poi abbiamo anche avuto l’occasione di conoscere i medici del Poma De Donno e Franchini, che si sono dati tanto da fare in questi mesi per questa battaglia contro il virus. Aver donato il plasma è anche aver dato un’arma in più a questi dottori per combattere la malattia e dare una speranza a chi ancora sta lottando in ospedale o a casa”. E poi De Donno è “figlio dell’Arma” per cui il piacere è stato doppio: “Ci ha raccontato di aver studiato grazie ai fondi speciali dell’Arma e per questo la divisa da Carabiniere sarà sempre speciale”.

La donazione del plasma dopo la guarigione dal virus non è stata frutto di una scelta condivisa, ma un percorso intimo di ciascuno dei carabinieri, che solo alla fine si sono trovati a percorrere la stessa strada. “La volontà di donare ed essere utili – conclude Fiorita – è stato un desiderio comune venuto da dentro, una cosa spontanea, istintiva”. Bella.