“Il 44% dell’energia che noi generiamo viene da fonte rinnovabile. Resta una quota importante, del 40%, da combustibile fossile, tipicamente dal gas. E questa è una sfida per il Paese”. Ha detto Nicola Lanzetta, direttore di Enel. Come questa sfida si può affrontare? Il recupero del 40% di energia pulita diventa difficile affidandoci alle sole rinnovabili. Quindi, un’unica alternativa l’energia prodotta dal nucleare. Una tale apertura per liberare l’Italia dal vincolo: “no il nucleare”, generato dal voto referendario del 1987. Una simile decisione nessun altro Paese europeo l’ha adottata, eppure le nostre centrali nucleari in costruzione (Caorso ad esempio) adottavano gli stessi progetti delle centrali nucleari francesi funzionanti al di là, semplicemente, dei nostri confini. Il deficit di energia di cui soffriva l’Italia è stato colmato acquistando in gran parte con prezzi imposti dai cugini francesi, niente affatto impauriti dalle ipotizzate catastrofi che gli italiani ritenevano possibili con il nucleare e che hanno portato al referendum. E’ possibile che quella nostra decisione che ha creato la nostra dipendenza energetica dall’estero abbia aiutato la povertà (debito pubblico sempre in aumento). Inoltre, l’apertura al nucleare ci dovrebbe venire dalla stessa copertura europea con la decisione Green della Commissione che ha sdoganato il nucleare di quarta generazione. Inghilterra e Francia su tale progetto hanno sperimentazioni già avanzate, che potrebbero concludersi con l’entrata in produzione dell’energia con centrali nucleari di quarta generazione nell’arco dei prossimi 7 – 10 anni. Non sappiamo la posizione scientifica dell’Italia, ma Enel e Eni non staranno con le mani in mano. Per cui è tempo di conoscenza, di produzioni energetiche con sistemi che al di là delle rinnovabili riguardino la stabilità ecologica. Sono confortanti le notizie che affermano la nostra accelerazione sulla transizione ecologica e dimostrano la leadership pluriennale nel recupero di materia prima. Ricicliamo molto più di Germania, Francia e Spagna e lo facciamo soprattutto con gli imballaggi, nelle filiere di carta (92,3%), vetro (77,4%)e acciaio (87,8%). Quella della plastica e bioplastica, con il tasso di recupero più basso (48%) risulta però in più rapida crescita. E non vanno male gli oli minerali rigenerati per il 98% della raccolta in basi per lubrificanti e altri prodotti petroliferi, oltre che gli pneumatici fuori uso. Ci sono altri spazi di recupero, città come Roma portare ad una differenziata accettabile. L’Italia è fra le prime nazioni ad aver creato un circolo virtuoso che fa bene all’ambiente e all’economia del nostro Paese povero di materie prime.
La conferma viene dalla crescita degli eco – investimenti e del riciclo, lo evidenziano i dati contenuti nel quindicesimo rapporto GreenItaly presentato da Unioncamere, Fondazione Symbola e Centro Studi Tagliacarne realizzati in collaborazione con diverse organizzazioni (tra le quali il Conai, Novamont, Ecopneus, Enel) e oltre 40 esperti del settore. Rapporto arrivato poco dopo le dichiarazioni del presidente Mattarella, che da Bonn il mese scorso aveva esortato ad accelerare i progressi in tal senso. L’ex premier Mario Draghi, dal canto suo, sul futuro della competitività europea considera la transizione rappresentare una leva fondamentale. “C’è un’Italia – scrive – che può essere protagonista con l’Europa alla prossima Cop 29 di Baku”. “Siamo una superpotenza dell’economia circolare e possiamo dare forza a questa idea grazie alle scelte compiute dall’Unione con Next Generation e PNRR” – ha ricordato il presidente di Fondazione Symbola Ernesto Realacci. Infatti, il Bel Paese nel Green appare in vantaggio, o quantomeno sopra il livello medio europeo.
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