Morfina al neonato: infermiera scagionata anche in appello

La 45enne di Nogara lavorava all’ospedale Borgo Roma. La vicenda risale al 20 marzo del 2017

HINTERLAND Anche la Corte d’Appello di Venezia – alla quale la Procura si era rivolta dopo la sentenza di non luogo a procedere del 3 luglio dello scorso anno – ha scagionato  F.V. , l’infermiera 45enne di Nogara in servizio all’ospedale di Borgo Roma che nella notte tra il 19 e il 20 marzo 2017 era stata accusata di aver somministrato della morfina ad un bimbo di un mese, nato prematuro. Cade così definitivamente l’ipotesi di spaccio di stupefacenti (salvo che la Procura non decida di spingersi fino alla Cassazione), e questo significa che per l’infermiera rimane in piedi unicamente l’accusa di lesioni aggravate dalla somministrazione di sostanza benefica. Solo con questa accusa, dunque, riprenderà il processo della donna, a partire dal prossimo 10 aprile, davanti al giudice  Alessia Silvi . Oltre all’imputata saranno presenti anche i legali dell’azienda ospedaliera,  Gilberto Tommasi  e  Filippo Vicentini , chiamati in causa dalla parte civile per risarcire l’eventuale danno ai genitori e ai nonni del neonato, in caso di condanna. Genitori e nonni, com’era da aspettarsi, si sono infatti costituiti parte civile con gli avvocati  Michele Fiocco ,  Christian Galletta  e  Stefano Poli . L’accusa di cessione di morfina al neonato prematuro e somministrato dall’infermiera di Nogara non stava in piedi perché non è considerata «tipica», ha ribadito la difesa. In pratica, non rientrerebbe in nessuna delle ipotesi della legge che punisce la cessione di stupefacenti. Ma la difesa guarda oltre, sostenendo che anche in merito alla seconda accusa, quella di lesioni, sarebbe già compresa l’aggravante. La vicenda risale alla notte tra il 19 e il 20 marzo di due anni fa, quando il neonato lamentò un’improvvisa crisi respiratoria, tale da costringere il suo immediato trasferimento nel reparto di terapia intensiva. Venne così alla luce che F.V. aveva in carico il bimbo tra le 21 e le 21.30 di quella sera. L’accusa sostiene che fu proprio a quell’ora che l’infermiera somministrò, pare con il ciuccio, alcune gocce di Naxolone al bebè, farmaco composto da oppiacei. La crisi respiratoria del neonato si registrò intorno a mezzanotte. A chiarire come realmente sono andati i fatti e decidere sulle presunte responsabilità dell’infermiera toccherà ora al dibattimento. L’infermiera, peraltro molto conosciuta e stimata nella zona, dopo aver ricevuto un’indegna gogna mediatica sui social dai soliti leoni da tastiera ha cominciato a ricevere l’appoggio di diversi cittadini.

Matteo Vincenzi