Aemilia, ricorsi respinti: pene definitive per 4 mantovani

MANTOVA –  Sette annullamenti con rinvio ad altra corte giudicante per nuovo esame (solo limitatamente a determinati capi d’accusa), altrettanti senza rinvio e ben 73 ricorsi rigettati o dichiarati inammissibili. Questo, in estrema sintesi, quanto deciso ieri pomeriggio, al termine di una lunga camera di consiglio, dai giudici della Corte di Cassazione, circa le istanze di revisione delle sentenze di secondo grado presentate dagli 87 ricorrenti (31 dei quali accusati di associazione mafiosa) del maxi processo di ‘ndrangheta “Aemilia”. Un verdetto quello degli “ermellini” che vedeva parti interessate anche quattro imputati mantovani, sugli otto in totale, finiti a suo tempo alla sbarra dopo la grande retata di arresti fatta dai carabinieri all’alba del 28 gennaio 2015 contro la cosca calbrese dei Grande Aracri. Per loro, dopo il rigetto in toto delle impugnate sentenze da parte della Suprema Corte, la pena comminata in appello è quindi divenuta definitiva. I virgiliani a proporre istanza avverso le sentenze di secondo grado, ora passate in giudicato erano stati: Antonio Rocca, 52enne manovale di Borgo Virgilio, condannato a 4 anni e 6 mesi per truffa relativamente ad una compravendita di piastrelle quale intermediario del boss Nicolino Grande Aracri e in cui era risultato coinvolto anche Giuliano Loprete, muratore 66enne di Pietole, anch’egli ricorrente contro i 4 anni rimediati in appello. Pasquale Riillo, 56 anni di Viadana, la cui pena stante la riconosciuta aggravante dell’associazione mafiosa era stata determinata in 14 anni di reclusione. Infine l’ultimo ricorso presentato alla seconda sezione penale romana era stato quello di Salvatore Colacino, pregiudicato 49enne originario di Suzzara ma residente in provincia di Cremona condannato a 4 anni e mezzo per detenzione illegale di armi. Ed è proprio in riferimento a quest’ultimo che la procura generale, rappresentata nella fattispecie dal sostituto Luigi Birritteri, aveva avanzato in requisitoria, l’annullamento dell’impugnata sentenza con rinvio ad altro giudizio d’appello, (in tutto da lui richieste 63 dichiarazione di inammissibilità e 13 di rigetto) limitatamente alla ritenuta aggravante della partecipazione associativa mafiosa successivamente al 28 maggio 2015. Rigetto del ricorso invece per tutti gli altri motivi addotti dalla difesa dell’imputato. Nei confronti invece di Rocca e Loprete la procura aveva addotto l’inammissibilità del ricorso presentato, e poi confermata alla lettura del dispositivo. Infine per il ricorrente Riillo, giudicato e condannato nei precedenti gradi di giudizio sia con rito ordinario che in abbreviato, il Pg aveva chiesto, e quindi disposto in via definitiva, il rigetto totale del ricorso per motivi manifestamente inammissibili o infondati. Per quanto concerne invece gli altri personaggi di spicco di tale filone processuale per Michele Bolognino (classe 1967, residente a Gattatico), l’unico tra i capi della consorteria ad aver scelto di difendersi in sede dibattimentale, e condannato dai giudici felsinei a 21 anni e 3 mesi di carcere, era stato avanzato annullamento dell’impugnata sentenza per la sola partecipazione all’associazione criminale successivamente al 28 maggio 2015. A suo carico invece i giudici, dopo aver disposto la prescrizione in merito ad un solo capo d’accusa, hanno rideterminato la pena finale, con annullamento senza rinvio, diminuendola a 20 anni e 10 mesi. Dichiarazione di manifesta inammissibilità del ricorso, invece, così come chiesto dalla pubblica accusa, per Gaetano Blasco (classe 1962 di Reggio Emilia), condannato a 22 anni e 11 mesi. Tra quanti non avevano scelto il rito alternativo anche per Giuseppe Iaquinta, padre dell’ex calciatore della Juventus e della Nazionale Vincenzo, (che si era visto riconosciuta in appello la pena sospesa per i 2 anni a lui comminati in primo grado per detenzione di armi del genitore), che aveva impugnato la condanna per mafia a 13 anni il ricorso da lui presentato è stato giudicato inammissibile. Infine per Carmine Arena statuito un ricalcolo della pena finale a 7 anni e 5 mesi.