Dante: un viaggio tra versi, iconografie e toponimi alla Teresiana

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MANTOVA ”Falsi indovini e streghe maliarde…” si trovano nel ventesimo canto dell’Inferno dantesco. E tra essi anche una dannata le cui lunghe trecce coprono il volto: Manto, leggendaria fondatrice di Mantova.
È l’inizio di “Senz’altra sorte”, la lezione tenuta ieri dal prof. Claudio Fraccari, in occasione del “DanteDì”, la giornata nazionale dedicata al Sommo Poeta, nella sala monumentale della Biblioteca Teresiana, gremita per un viaggio tra i versi e le immagini della Commedia, alla ricerca delle tracce mantovane.
Fraccari, presidente del comitato locale della Società Dante Alighieri, ha guidato il pubblico attraverso miniature, incisioni e interpretazioni visive — da Flaxman a Dell’Otto, da Dalì a Birk — per sottolineare la centralità di Mantova nell’universo dantesco.
Dall’Inferno al Purgatorio, al canto VI, con l’abbraccio fra Virgilio e Sordello — «O Mantoano, io son Sordello de la tua terra» – frase che esalta la forza del toponimo, fino alla conclusione dell’incontro, che porta il pubblico a riflettere su una fondazione cristiana della città, evoluzione rispetto alla leggenda virgiliana e alla sua aura magica.
Il legame tra l’antico culto lunare, capace di influenzare nel corso dei secoli gli usi e i costumi degli uomini, e Mantova come città d’acqua è, per Fraccari, il punto di partenza: Diana, che nell’iconografia si trasforma nei secoli nella Vergine sacra. Lo suggerisce anche una lettura dell’antico stemma araldico cittadino rintracciato dallo storico Giancarlo Malacarne: tre lune e una “V” su sfondo azzurro — da leggere come Virginis — rimandano alla mutabilità e al femminile sacro. La triplice luna, rappresentata nelle sue fasi (crescente, montante e calante), è simbolo di rinnovamento, principio femminile e riflesso del legame tra fasi lunari e mondo acquatico.

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