MANTOVA – «Se fosse per me, li avrei buttati giù». È la frase che il sindaco Mattia Palazzi non si è lasciato sfuggire a caso parlando di Mantova Hub in relazione ai 4 capannoni ereditati dal demanio militare nell’area di San Nicolò. Quattro manufatti di nessunissimo valore storico e monumentale, che dalla loro hanno solo l’età: più di mezzo secolo, ossia quanto è bastato ai soprintendenti competenti per vincolarli, obbligando i progettisti a sforare persino il budget iniziale (i 18 milioni acquisiti dal “bando periferie” renziano) sino a farlo lievitare oltre i 30 milioni di euro. Problema a tutt’oggi irrisolto, se non con la prospettiva di accensione di mutui, cui peraltro il Comune può benissimo far fronte, vista l’alta capacità di indebitamento prospettata dal bilancio previsionale in corso di stesura.
Peraltro, dei 4 capannoni, uno solo si renderebbe indispensabile: quello già assegnato all’Aspef per il centro destinato ai portatori di disabilità. Per tutti gli altri mancano i destinatari, ma soprattutto i fondi liquidi. L’operazione tuttavia potrebbe trovare proprio nelle disavventure recenti una via di uscita onorevole.
Il “veto” a qualsiasi lavoro richiesto dalla comunità rabbinica internazionale, per la quale si è fatta avanti in via Roma persino la Casa Bianca, restituirebbe come area “vergine” l’antico cimitero ebraico, liberandolo oltretutto degli scomodi capannoni militari, gloria e memoria di una guerra persa, e di un insediamento militare fatto in deroga alla convenzione di cessione fatta nel ’700 dalla comunità ebraica verso il demanio.
Naturalmente le operazioni del sindaco sono assolutamente top secret, ma voci autorevoli assicurano che il primo cittadino si stia muovendo proprio in questa direzione, cercando la sponda utile nel ministro Dario Franceschini. Tolti i vincoli assurdi, ne gioverebbero tutti: il paesaggio, la comunità rabbinica internazionale, ma soprattutto le casse comunali, su cui pesano circa 8 milioni a prezzo di indebitamento.
