Una festa di colori per le vie del centro città. Poi un palco di ovvietà e veleni

MANTOVA Il Pride ha colorato la città, l’ha riempita di gioia e felicità per un paio d’ore, dopo di che, e cioè da quando si sono aperti gli interventi sul palco, la situazione ha preso una piega diversa: grigia, triste e rancorosa. Ma ci torneremo più avanti.
Festa doveva essere e festa è stata a cominciare da Palazzo Te, dove la manifestazione ha preso forma e si è raggruppata per poi partire alla volta del centro storico con direzione piazza Sordello. In testa al gruppone dietro lo striscione del Pride e accanto agli organizzatori anche il sindaco Mattia Palazzi che ha seguito tutto il percorso con i manifestanti e ha dato il via agli interventi dal palco di piazza Sordello. Il serpentone colorato ha invaso prima via Conciliazione, poi via Chiassi e il centro con almeno tre, quattro camioncini allestiti con bandiere, striscioni ma soprattutto quella musica, che ha fatto ballare le migliaia di partecipanti. Quanti? Forse più di duemila, di sicuro tantissimi e provenienti soprattutto dai dintorni e da fuori provincia. La risposta che ci si attendeva è arrivata, forte e chiara, ed è bello che il tutto si sia consumato attraverso i colori, gli slogan e le bandiere e le tante voci che hanno voluto esprimere il proprio punto di vista, anzi i punti di vista. Già perché parlando di diritti sono tanti quelli calpestati, quelli da conquistare e quelli da riprendere. Un’oretta abbondante di camminata fino ad arrivare in piazza Sordello con un ingresso trionfale dal volto di San Pietro: un’onda colorata che ha invaso la piazza più importante della città tra lo sbigottimento di chi della manifestazione non ne sapeva nulla. Dalla parata alla musica il passo è stato breve, tutt’altra cosa invece la maratona degli interventi, che in due lunghissime ore ha sfinito quella folla che al calar del sole era ridotta ad una manciata di irriducibili ballerini.
C’è stato il primo cittadino Mattia Palazzi con la fascia tricolore (nel 2018 non l’aveva) a parlare dal palco e poi Valeria Nicoli, presidente di Arcigay Mantova, che sulla manifestazione ci ha messo il cappello. Dall’intervento del segretario di Arcigay Nazionale Gabriele Piazzoni in poi, le parole pronunciate dal palco di piazza Sordello hanno fortemente contrastato con lo spirito gioioso del Pride, che fino a quel momento era solo e semplicemente una festa. Giuste e legittime le rivendicazioni, fuori luogo e velenose le continue e monocordi prese di posizione contro governi, ministri e quanti non allineati al pensiero.
Il bello è che nonostante l’arcobaleno della pace sbandierasse praticamente in ogni dove, quelle sentite in piazza Sordello sono state parole piene di rancore e di un’acredine inqualificabile, tuttavia riconducibili all’essenza di queste minuscole espressioni di sinistra che hanno approfittato di un giro di orologio di popolarità. Addirittura c’è chi ha pensato bene di usare il proprio tempo a disposizione per attaccare la Voce di Mantova , colpevole di aver pubblicato un articolo in cui veniva reso noto il contributo dato dall’amministrazione al Pride (20mila euro, se mai a qualcuno fosse sfuggito) e messo in relazione alle carenze delle politiche per la famiglia di Via Roma. Un sermone intriso di preconcetti e di maleducazione, che squalificano non solo chi ha pronunciato queste parole, ma squalificano la manifestazione stessa. Peccato, un’occasione persa.