Mantova Non solo di amicizia parla l’ultimo libro di Hisham Matar, Amici di una vita, ma anche di libertà, cambiamento e perdita, in uno stile carico di lirismo che richiama il senso di appartenenza ad una terra e ad una cultura.
Autore di origine libica, Matar è stato premio Pulitzer per la biografia nel 2017 con il memoir Il ritorno, dove affronta la tematica dell’esilio e della ricerca del padre.
Ora, invece, l’ambientazione non è più la nazione d’origine ma quella di adozione, l’Inghilterra, nello specifico Londra.
Il romanzo narra la storia di tre amici Khaled, Mustafa e Hosam, e il punto da cui si dipana la trama è la sparatoria avvenuta presso l’ambasciata libica a Londra nel 1984, che provocò la morte di una poliziotta e il ferimento di altre 11 persone. “Avevo 13 anni quando avvenne quello scontro a fuoco ed ero davanti alla televisione quando ne fu data notizia – spiega Hisham Matar. – Ne fui molto colpito e soprattutto ricordo che a terra c’era un uomo ferito, ancora con il passamontagna, che continuava a chiamare sua madre”. Diversi anni dopo l’autore va a Londra per studiare e lì incontra un nuovo amico che è molto più grande di lui. Si instaura subito un bellissimo rapporto. Un paio d’anni più tardi scoprirà trattarsi del ragazzo che chiamava la madre dopo essere stato colpito durante la sparatoria all’ambasciata. “Questo accadimento è stato presente nella mia vita per lungo tempo benché non abbia mai avuto alcuna intenzione di scriverci su nulla. L’unica cosa di cui ero certo era voler raccontare l’addio di questi due amici, addio che rappresenta anche l’inizio del romanzo, e quanto l’io narrante avesse sofferto per questo distacco”. “L’addio fa dunque da cornice all’amicizia – commenta Paolo Giordano, autore di una delle più celebrate opere di esordio, La solitudine dei numeri pimi- ed è inevitabile quindi il salto nel passato. I tre amici è come se declinassero gli eventi di cui sono protagonisti in modo diverso e ci sono pezzi di te in ognuno di loro”.
Il padre di Kaled viene raccontato come timoroso che il figlio possa esporsi troppo in questioni politiche e trasmette questa riluttanza anche al figlio.
“Il tuo rapporto tra riluttanza e coraggio: perché hai scelto come punto di vista per questo libro quello di chi sceglie di nascondersi, di non combattere contro il regime?” “La risposta più onesta è che non lo so – ammette Matar, con un sorriso quasi arrendevole. – Sono cresciuto attorno a gente impegnata politicamente, della riluttanza di cui parli non c’era traccia. Tuttavia mi sono sempre sentito attratto da chi sa reagire nel modo opposto. E benchè Il mio temperamento fosse completamente diverso da quello di mio padre, lui non ha mai voluto che io fossi come lui. Mio padre voleva semplicemente che io diventassi me stesso e questo è il regalo più bello che un genitore può fare al proprio figlio”.