Case di comunità: è facile farle ma difficile sarà poi mantenerle

MANTOVA Dovevano essere 9, ma saranno 8 le “case di comunità” finanziate dal Pnrr nel Mantovano per soccorrere i deficit operativi dei pronto soccorso ospedalieri. Quasi un record, rispetto alla decimazione progettuale vista nel paese, ma il successo va comunque pesato senza la “tara”. Infatti, tali strutture saranno sì finanziate dall’Europa “fisicamente”, ma non operativamente. In breve: la Ue paga la casa, ma non la sua manutenzione, che invece andrà in capo alle agenzie sanitarie del territorio, con oneri peraltro assai gravosi. Una stima del prof. Nicola Taurozzi, primario emerito del Poma e già docente alla Statale di Milano, ipotizza un costo delle 8 unità nell’ordine degli 8,86 milioni annui (dati basati sullo studio dell’Istituto “Mario Negri”). Tali stime sono state oggetto di una sua relazione tenuta all’incontro tecnico organizzato alcuni mesi fa a Pescara.
Professore, lei sostiene che la messa a terra delle strutture sanitarie di prossimità previste dalla Missione 6 “Salute” del Pnrr presenta delle criticità attuative legate al problema gestionale oltre che alla carenza del personale?
«È doveroso un chiarimento. Mentre la copertura finanziaria per la creazione degli edifici che dovranno ospitare i principali presidi delle strutture di prossimità è a carico della revisione del Pnrr (6,1 miliardi di euro messi a disposizione dall’Europa), la copertura finanziaria per coprire il costo del personale sanitario e di supporto che dovrebbe far funzionare tali presidi è invece a carico del governo e quindi delle Regioni. Ad oggi non è dato sapere la fonte di copertura per questa voce. Ad esempio, per il costo del personale delle 199 “Case di comunità” in Lombardia (numero ridotto dopo la revisione del Pnrr) occorrono 220 milioni e 543.000 euro annui. Dopo la revisione del Pnrr le 8 “Case di Comunità” della provincia di Mantova necessitano per il costo del personale di 8 milioni e 860.000 euro annui».
E dove si pensa di reperire tali risorse?
«La Lombardia, una delle poche Regioni con bilancio attivo per la Sanità, potrebbe richiedere un finanziamento aggiuntivo premiale al governo, altrimenti dovrà provvedere in proprio con un auto-finanziamento».
L’assessore regionale al welfare Guido Bertolaso ha recentemente presentato un piano di rimodulazione dei Pronto Soccorso, come anche da lei auspicato, assegnandoli agli ospedali con Dea di secondo livello e agli ospedali con Dea di primo livello. La provincia di Mantova dovrebbe riceverne due, il Carlo Poma e Borgo Mantovano, opzione che ha suscitato qualche malumore.
«Nei 99 pronto soccorso della regione Lombardia gli accessi totali nel 2022 sono stati 3.421.730, con un costo di circa 445 milioni. Di questi, circa il 76% sono risultati accessi inappropriati, rappresentati da urgenze minori (codici verdi e codici bianchi) responsabili della criticità operativa di tali strutture ospedaliere a vocazione emergenziale (codici rosso, arancione e azzurro). Tra l’altro il costo dei 2 milioni e 627.000 urgenze minori si attesta sui di 341 milioni e 510.000 euro. Una situazione non più sostenibile sia sul piano dei costi che sui tempi lunghi di attesa nel pronto soccorso».
E dunque, come si sta pensando di provvedere per fronteggiare questi costi?
«La Regione sta studiando soluzioni in grado di coniugare i costi con una maggiore efficienza nella risposta prestazionale per il cittadino. Si potrebbe pensare ad esempio di alleggerire i pronto soccorso trasferendo le urgenze minori (dico i codici verdi e bianchi) in strutture del territorio fuori dagli ospedali, ubicati nelle “Case di comunità” o in strutture sanitarie private accreditate. Le strategie programmatiche in Sanità sono complesse per la molteplicità degli attori con esigenze diversificate e richiedono la sinergia di tutte le forze politiche, lasciando alle spalle gli steccati ideologici».