“Effetto De Donno”, ok al plasma ma giacciono scorte di monoclonali

MANTOVA Il dibattito è stato lungo, ma i pronunciamenti “ufficiali” ormai portano in una direzione: il plasma iperimmune, per il quale tanto si era speso il professor Giuseppe De Donno, sarebbero soppiantati dagli anticorpi monoclonali.
L’Iss e l’Aifa nei primi mesi di quest’anno avevano promosso uno studio clinico randomizzato al quale avevano collaborato 27 centri clinici italiani per valutare il ruolo terapeutico del plasma convalescente nei pazienti covid 19, ma i risultati di tale ricerca non hanno evidenziato il beneficio del plasma sulla riduzione del rischio di morte o di peggioramento respiratorio nei primi 30 giorni rispetto agli altri farmaci a disposizione.
In queste ore anche l’Organizzazione mondiale della sanità, con una nota che ha destato molto malumore, soprattutto nel mantovano, dove le terapie di De Donno avevano avuto risonanza nazionale, ha bocciato l’utilizzo del plasma iperimmune considerandolo “inutile” e “non migliorativo” rispetto agli altri trattamenti, e raccomanda invece l’utilizzo degli anticorpi monoclonali cosiddetti “salvavita” che ormai vengono adoperati in tutto il mondo con buoni risultati nel trattamento del covid 19 se somministrati nei primi 3 giorni, mentre in Italia, e soprattutto in Lombardia sono poco utilizzati.
In merito, il primario emerito del Poma e docente universitario prof. Nicola Taurozzi, da mesi solleva la questione, anche attraverso una interrogazione del consigliere regionale Andrea Fiasconaro (M5S), circa lo scarso impiego dei monoclonali negli ospedali della Lombardia.
«In Lombardia – commenta il docente – i frigoriferi degli ospedali sono pieni di anticorpi monoclonali e non si comprende perché non vengano presi in considerazione. Siamo arrivati al paradosso che qualche mese fa la stessa Lombardia ha inviato 5.200 dosi di monoclonali giacenti nei frigoriferi, in via di scadenza, alla Romania. La Regione dovrebbe domandare ai medici le motivazioni per le quali non sono stati utilizzati questi presidî che risolvono nel 70% dei casi le complicanze gravi e i ricoveri in terapia intensiva», conclude Taurozzi.