In tempi in cui l’ideologia della violenza sembra avere il sopravvento è opportuno ricordare chi si è sacrificato nella difesa della democrazia e della libertà. Il ricordo è di Giacomo Matteotti nell’anno centenario del suo martirio. Infatti è stato il primo politico a pagare con la vita l’aperta opposizione a Benito Mussolini. Chi detiene il potere assoluto di solito neppure sopporta la presenza fisica del proprio avversario, anche se indebolito o politicamente sconfitto. Ciò perché nei momenti di crisi del sistema autoritario l’avversario può essere considerato da chi detiene il potere una guida, un eroe, capace di aggregare intorno a sé una dissidenza più o meno estesa. E Matteotti, segretario politico del Partito Socialista, campione di democrazia e di libertà, la dissidenza aveva le qualità per crearla. Il 30 maggio 1924, durante il procedimento di convalida dei nuovi eletti al parlamento, il 6 aprile c’erano state le elezioni politiche, nella quali il “listone” presentato dai fascisti aveva ottenuto la maggioranza dei seggi parlamentari: 374 sui 535 disponibili, aveva denunciato a chiare lettere i numerosi brogli elettorali e le violenze commesse dai fascisti in sede di votazioni, e sulla base di ciò aveva chiesto, a nome del suo partito, l’annullamento delle stesse. “Noi domandiamo…alla Giunta – con fermezza Matteotti – che essa investighi sui mezzi usati dai fascisti nel periodo elettorale in quasi tutta Italia. E’ un dovere e un diritto, senza il quale non esiste sovranità popolare”. Le parole del deputato socialista irritarono moltissimo i fascisti e soprattutto Mussolini, il quale comprendeva bene che esse avrebbero avuto una grande risonanza nel Paese e avrebbero scosso profondamente gran parte dell’elettorato moderato, non ancora completamente conquistato al fascismo. Mussolini risentito e insofferente per quanto era avvenuto alla Camera, si è sfogato con Carlo Rossi, Capo dell’ufficio stampa della Presidenza del Consiglio, dicendo: “ Cosa fa questa Ceka (la polizia segreta di Mussolini), cosa fa Dumini” (uno dei responsabili della Ceka)! “Quell’uomo dopo quel discorso non dovrebbe più circolare”. Parole che non sono cadute nel vuoto, anzi raccolte e subito diventate azione. Il delitto Matteotti fu deciso e organizzato, nell’ambito di questo pseudo – organismo politico e di polizia del partito fascista, dagli uomini che vi facevano parte. Matteotti fu rapito il pomeriggio del 10 giugno 1924 sul lungotevere Arnaldo da Brescia, mentre da poco era uscito di casa per recarsi a Montecitorio. In quei giorni, infatti, il deputato socialista stava lavorando a un intervento che avrebbe fatto alla camera dei Deputati il giorno successivo e che, a quanto pare, conteneva importanti rivelazioni in materia di
corruzione economico – politica, in cui erano implicati gerarchi fascisti e non soltanto, forse lo stesso Mussolini: “come poteva non sapere”? Era iniziata una opposizione senza risparmio, in grado con carte alla mano di “risvegliare” un Paese che si stava avventurando nel disinteresse della gestione democratica della cosa pubblica. Matteotti fu ucciso nel corso di una colluttazione con i suoi rapitori. Nel giro di pochi giorni tutti gli autori del delitto sono stati individuati e arrestati dalla polizia giudiziaria. Al processo furono tutti condannati. Commentava la rivista del gesuiti, la Civiltà Cattolica: “Costoro erano soltanto gli esecutori materiali del delitto”. L’istruttoria fu basata, almeno all’inizio, sul movente politico facendo risalire al discorso del 30 maggio il vero motivo del delitto contro il deputato, perché in quel frangente Matteotti era stato minacciato di morte. Cosciente della reazione rabbiosa di Mussolini al suo agire ad alcuni colleghi che si complimentavano con lui per il discorso, aveva risposto di cominciare a preparare il suo necrologio. La storia di questo parlamentare, che ha pagato con la vita l’opposizione all’ideologia della violenza, va indicato oggi come simbolo della difesa delle istituzioni democratiche.
GASTONE SAVIO