Io Monica disoccupata a 52 anni “Per il lavoro sono invisibile”

MANTOVA   «Ho 52 anni, sono iscritta all’ufficio del lavoro nelle categorie protette, ho una invalidità del 64% che non comporta una pensione. Durante la pandemia ho perso il lavoro di badante, con conseguente perdita della casa popolare, che non ero più in grado di pagare. Sto cercando disperatamente un lavoro. Un lavoro qualsiasi, che mi ridia un minimo di dignità come persona… Ma alla mia età mi rendo conto di essere diventata invisibile per il mondo del lavoro».
Chi si rivolge alla Voce di Mantova con queste credenziali è Monica Pagni, cinquantenne toscana di nascita, ma da trent’anni naturalizzata mantovana. Alle spalle ha un matrimonio finito e una convivenza che le ha lasciato in dote un figlio 16enne disabile, affetto da patologie psichiche aggressive e attualmente in cura nelle strutture protette. Senza lavoro e senza prospettive di trovarne, non sa a che santi rivolgersi per risolvere il problema dell’oggi, nella pressoché totale indifferenza del domani, del quale teme, più che ignora, le offerte e le inevitabili minacce.
Un caso isolato? No, lei stessa ne è consapevole. Il dramma della impossibilità di far fronte alle urgenze contingenti per i soggetti che abbiano passato la quarantina e che, di punto in bianco, si ritrovano senza una fonte di entrate, è diventato male diffuso. Quasi il paradigma della nuova povertà.
«Ho ancora tanto da poter dare. Ho una storia veramente difficile alle spalle, fatta di violenza domestica, abbandoni e depressione. Ma soprattutto ho un figlio che dipende totalmente da me, e questo mi dà il coraggio di scrivervi, per poter lanciare un appello attraverso il vostro giornale». Monica limita le proprie chimere esistenziali a poche cose: «Cerco un lavoro qualsiasi, ho buona volontà, esperienza come baby sitter, dama di compagnia, ho lavorato nei mercati di abbigliamento. Ho davvero necessità di trovare un lavoro. Non ho sussidi di nessun tipo – prosegue nella sua perorazione –, non ho più risparmi, e soprattutto ho mio figlio, malato, che ha bisogno del mio aiuto. ho tanto da poter fare. Se qualcuno potesse aiutarmi, mi contatti». E lascia alla nostra redazione un numero di telefono, 320-5573752, con la malcelata speranza che qualcuno si commuova.
Non è illusa, Monica. Conosce i meccanismi dell’assistenza, e non ne disconosce nemmeno gli ausili di cui già ha fruito: «Il Comune, attraverso i servizi sociali, mi sta già aiutando. È grazie al Comune che sto provvedendo a mio figlio, giorno e notte assistito in struttura psichiatrica. Ed è ancora il Comune che mi sta venendo incontro, da quando ho perso la casa popolare, con 800 euro per potermi pagare l’affitto dell’appartamento in cui abito, dato che per pagare il canone, da quando sono stata costretta, senza reddito, a rinunciare alla casa popolare, ho dovuto dare fondo a quei pochi risparmi che avevo. Ma tutto questo non mi serve per entrare in una graduatoria di edilizia residenziale pubblica», allarga le braccia.
Nemmeno le viene in soccorso il reddito di cittadinanza, cui le è stato negato l’accesso. Suo marito, toscano come lei, che da decenni non esiste più nella sua vita; ma non essendo intervenuta la separazione legale, figura ancora come cumulo di un reddito che non c’è, né per lei né per il figlio, avuto da una successiva unione. Insomma, le proprietà di un “ex” non più visto da anni sono sufficienti per inibire il sostegno statale utile a superare la soglia di povertà.
A breve, Monica avrà un colloquio per poter fruire di un alloggio di necessità, che comunque non soddisferà la sua richiesta. Lei non cerca assistenza, ma aiuto per poter mantenere sé e il suo figlio 16enne in piena autonomia attraverso un lavoro.
La frase che ritorna nello scoramento di una situazione al momento inestricabile è sempre la stessa: «Ho 52 anni, non sono invisibile, ho tanto da poter fare. Se qualcuno potesse aiutarmi, mi contatti». Non è la frase di una persona finita, semmai quella di chi teme che finito sia il mondo attorno a lei, con tutti i suoi corollari di imbonimenti politici e di istituzioni utili a mantenere se stesse. E non si sa per quanto.