La golena del Po d’estate silenzi di un altro mondo

[⚠️ Suspicious Content] Un mondo a pare quasi sempre la golena del fiume Po, il suo alveo naturale, la sua cassa di espansione propria e propriamente insottraibile, a pena di disastri e calamità indotte dalla medesima sottrazione. La golena è sua proprio sua del Po. Se tu ci vai dentro devi sapere che cammini e ti siedi, mangi e sbicicletti, giochi a calcio o a nascondino a casa sua, a casa del Po. Silenzi di un altro mondo. O fruscii, o brsii o zanzarii. Anche se ci hai fatto baracche e baracchini, casotti e casottin, tavole e tavolini, seggiole e seggiolini, balconi e balconcini, caminetti e camini, an voel mia dì, la casa è sempre sua e quando qualche volta l’acqua viene su non ti chiede permesso e non c’è sacchetto che tenga. Eh la golena, un mondo tutto a parte.

E d’estate la golena del Po è ancora più cinema, teatro, mistica, mito. I silenzi e i fruscii, prima di tutto. D’estate è tutto più silenzioso e lento, i pioppi sembrano irrigiditi dal caldo e dalla mancanza di vento. Le poche persone che si avventurano sanno che debbono parlare a bassa voce, per non svegliare fauna e flora, pesci e insetti, viandanti e restanti.

Si resta a bocca aperta a guardare il sabbione che è diventata un’isola, e non sai se di là c’è ancora un po’ di Po. Ma si ci sarà, è il fiume più lungo d’Italia, dunque il più importante, diceva la mia indimenticabile e indimenticata maestra delle elementari Carla Lanfredi che ci portava a scoprire anche la vegetazione di primavera sull’argine del Po. L’alveo. La sua casa. Frasche e trocnhi, approdi e agganci, terra sabbiosa sabbia e sterpaglia, cespugli e foglie, piccoli steli appena piantati, un uccello che plana sul nido, la frasca che si muove e un battello a motore che cerca una spira di fiume più larga. Mondo golena. Nonna che era bisnonna mi portava qui all’alba, anche prima.

Per respirare l’aria di Po o l’aria di golena o semplicemente e più automaticamente l’aria ancora pulita del mattino presto preso di quei giorni che stanno a cavallo tra la tarda primavera e la prima estate, quando la luce è lunga quasi infinita e l’acqua del fiume rifrange e riflette e rigetta ogni sogno. E’ tutto lì, è tutto qui. Diceva la nonna bisnonna che l’aria del Po faceva passare la tosse ed eccoci qui a respirare a pieni polmoni l’aria del Po anche se non avevo la tosse ma forse un po’ di raffreddore magari di quello da scuola, di corriera, di luoghi inevitabilmente promiscui dove allora non sapevi nemmeno che potevi respirare i droplet, le goccioline dell’aria, ci sarebbe voluta la pandemia da Covid per aver paura della vita comune. Ma noi a Po, in golena, non avevamo problema. Avevamo lande sconfinate in cui la comunità era fatta di piante e frasche, cespugli e gatti randagi, o meglio a vita propria e indipendente.

Faceva respirare meglio anche chi aveva problemi ai bronchi e ai polmoni l’aria della golena di Po. Diceva la nonna. Attenzione: nessuna ricerca scientifica, una tradizione popolare della gente di Po. Lo diceva la nonna della nonna: l’aria di Po in golena, al mattino presto tipo alle cinque, fa passare la tosse. Nessuna evidenza scientifica, come si direbbe adesso nei consessi clinici e medici, ma allora ci si fidava della tradizione e del rito. Sempre bello ripassare i riti di passaggio come si faceva nel corso di antropologia.

Bastava non cadere nel Po o finire in un fossatello cespuglioso della golena e non c’erano controindicazioni particolari come quelle da bugiardino delle medicine. Adesso, ecco altre testimonianze delle terapie della golena di Po tra misteri e poteri di questo luogo magico e storico che è il territorio più o meno grande che va dalla riva del Grande Fiume all’argine maestro. Ebbene sì: l’aria e l’acqua del Po guarivano le croste delle ginocchia ammaccate. Parola di Greta. «U let al to libar, anca mi im purtava a Po par guarì li grosti di snocc».

Che l’acqua potesse guarire o aiutare a guarire le croste delle ginocchia può essere vero o meno vero, resta comunque una fede inesauribile verso i poteri del Po. E, a proposito di fede, ovviamente in senso lato-molto lato, cosa c’è di meglio dell’argine del Po per fare il pellegrino in campagna? Vedi di là e di qua, vai sopra e sotto, a piedi e in auto, non ti stanchi mai di scoprire pezzi di campagna, casolari diroccati, corti restaurate, stalle di una volta e maneggi apparentemente abbandonati. Gli argini sono le montagne del Po. Cosa può fare la fantasia!

Il Po un po’ guaritore è sicuramente più leggenda che storia, ma le storie sono fatte anche di leggende. Di certo golena e Po portano relax e infatti attorno al Po e per il Po è cresciuta negli anni dell’immediato secondo dopoguerra un’intera generazione di mestieri e di appassionati, dal boscaiolo di golena al barcaiolo, dal costruttore di capanni al costruttore di reti e via discorrendo. Poi il richiamo turistico: due passi e potevi sognare di stare in villeggiatura, magari sotto un capanno su uno sdraio o sotto un pioppo.

Era frequente dagli anni Cinquanta agli anni Ottanta trovare gruppi di famiglie e di turisti andare in riva al Po per fare turismo balneare. Ricordano i vecchi signori degli argini che si vedevano capannelli colorati con ombrelloni super colorati, come quelli di Rimini, nei sabbioni in riva di qua e di là, con gente a prendere il sole e qualcuno che faceva il bagno. Ricordo che da giovane cronista ogni tanto ci scappava pure la notizia di qualche annegato nel Po. Attenzione ai mulinelli, attenzione ai rischi del fiume. Sacrosanti allarmi, giuste allerte e richiami alla prudenza mai abbastanza diffusi.

Innumerevoli nei decenni gli eventi e le feste in riva al Po, dove l’argine fa da riparo e da ponte. Non c’è fiume senza argine e se il fiume è il Grande Fiume va da sé che ci vuole un grande argine e, se quasi tutti i fiumi hanno gli argini maestri, sarà vero che il Grande Fiume deve avere argini grandi maestri. È la logica.

Quando mia bisnonna mi portava, piccoletto, al fiume il primo maestro da affrontare e da superare era proprio l’argine. Quella roba che fa galleggiare i tetti delle case in aria, almeno così pare, perché da una certa angolatura da sotto l’argine vedi solo i tetti o dall’altra parte solo le punte dei pioppi, e poi quel mozzicone di campanile che a ben vedere lui si vede da lontano-lontano. In effetti, quando scavalcavo l’argine e mi avviavo con bisnonna verso il sentiero dei pioppi e si cominciava a sentire il rumore dell’acqua, il fruscio delle frasche e delle foglie, qualche verso di uccello, non immaginavo allora la cutrettola gialla; beh, si sentiva che entravi in un altro mondo, in un’altra dimensione, in diverso livello di percezione, magari i sensi si metteva d’accordo occhi, orecchie, naso e tatto per trasformare ogni sensazione. Provare per credere. Per cui “andema a Po” era ed è tutto un programma.