In carcere in Kenya per violenza, il fratello: ”Storia assurda, non è possibile”

GOITO – «Mio fratello è stato incastrato. Quella in cui è rimasto coinvolto è una vicenda assurda: è impossibile che sia accaduto davvero». A parlare è Mauro Camellini, fratello di Paolo Camellini, il 50enne imbianchino di Goito che dalla giornata di venerdì scorso si trova nel carcere di massima sicurezza di Kodiaga, in Kenya, accusato di violenza sessuale nei confronti del bambino di tre anni adottato qualche tempo fa da quella che era sua moglie, pure keniana. La denuncia alle autorità locali era stata sporta dalla proprio dalla sua ex moglie.
«Il Tribunale – afferma Mauro Camellini, che è fabbro a Goito – ha emanato la sentenza di primo grado all’ergastolo senza tenere in considerazione numerosi dettagli e prove portate dall’avvocato difensore di mio fratello. Ora aspettiamo che proprio il legale di Paolo depositi il ricorso: speriamo si riesca a procedere entro la fine della settimana. E aspettiamo anche che venga fissata la cauzione per farlo uscire dal carcere, anche se temiamo che si tratti di una somma piuttosto alta. Purtroppo in Kenya e in altri paesi casi come questo sono all’ordine del giorno».
Sempre Mauro Camellini spiega come l’ex moglie di suo fratello fosse arrivata in Italia lo scorso dicembre per fargli conoscere il bambino di tre anni che aveva adottato. Dopo solo alcuni giorni di permanenza però la donna era ripartita, in modo quasi improvviso. Poi, alla fine dello scorso gennaio, Camellini era tornato in Kenya, dove ormai da una quindicina d’anni trascorre parte dell’inverno in attesa che in Italia arrivi la stagione adatta per lavorare come imbianchino all’esterno.
«Ma dopo due giorni dal suo arrivo in Kenya – prosegue Mauro Camellini – Paolo è stato arrestato con la pesante accusa che gli è stata mossa. Era un venerdì sera. Dopo alcuni giorni è riuscito ad uscire dopo aver pagato la cauzione. Dal momento dell’arresto gli è stato sequestrato il passaporto e quindi non è più tornato in Italia. Il processo è durato sei mesi e venerdì scorso è arrivata la sentenza con il trasferimento in carcere. Davvero – conclude Mauro Camellini -: è impossibile credere che sia successo davvero».
Dal canto suo anche il sindaco Pietro Chiaventi non si tira indietro: «Nessuno in paese, io compreso, avrebbe mai pensato a una vicenda simile. Siamo esterrefatti. Come Comune abbiamo offerto alla famiglia tutto il sostegno possibile. La situazione però è molto delicata e ritengo che soprattutto in questo momento serva particolare prudenza».