L’Alto e la Bassa, a volte il Basso I lembi del mantello mantovano

MANTOVA  “Adesso e qui”, come direbbe, o meglio come avrebbe detto don Primo Mazzolari. Adesso e qui bisogna fare qualcosa se c’è un bisogno, se c’è un problema se anche semplicemente c’è qualcosa da fare. Eh, bella quella sua frase iconica di musica simbolica della solidarietà: troppi cristiani hanno le mani pulite perché non hanno fatyo niente. Traduzione personale. L’originale è: a che servono le mani pulite se si tengono in tasca?  “Adesso e qui”.  Invochiamo e predichiamo il dialogo, ci riempiamo la bocca con la parola dialogo e spesso rischiamo di fare monologhi, monologhi mascherati da dialogo, senza passare dalle premesse indispensabili del dialogo che sono l’incontro e l’ascolto. Eh, l’ascolto, questo quasi sconosciuto!

Ho ricordi emozionanti della recente tre giorni mazzolariana a Bozzolo, sotto il portico del Comune, tra tanti bozzolesi ed appassionati mazzolariani, nell’incontro dell’ascolto, che sono venuti a sentire i mazzolariani venuti da fuori: tra questi Paolo Ruffini, prefetto del Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede, che ha ricordato con emozione e suggestione come il padre Attilio, deputato mantovano della Democrazia Cristiana,  gli parlava di don Mazzolari.

E tra questi Bruno Tabacci, parlamentare di lungo corso e anche già consigliere comunale bozzolese, un appassionato vero del messaggio mazzolariano da riscoprire nella sua attualità. Si è molto accalorato Bruno Tabacci quando ha messo a confronto le scelte ideali di quegli anni e le scelte diversamente ideali di questi anni.  Eh, Bozzolo, paesi di storia del cuore e dell’anima. E anche un po’ dei nonni, e degli zii dei cugini. Bozzolo-famiglia anche se per tratti di vacanza e visita parenti. Allora siamo a Bozzolo che è territorio della provincia di Mantova in diocesi di Cremona. E parlando da un punto di vista geografico  in che zona è Bozzolo? Nell’Alto mantovano? O nel medio Mantovano? Che però come medi mantovano non lo troviamo scritto così facilmente.

Noi che anche per motivi di pagine di giornale tra testatine e rubriche, dobbiamo fare e mettere un nome all’area dei comuni di cui parliamo e che viaggiamo tra le scelte più varie da quelle fluviali tipo “Destra Po”, Sinistra Secchia”, “Oglio e dintorni”, come i sapori e dintorni di una nota grande distribuzione organizzata, noo non si fa pubblicità, e infatti non si fa, ebbene noi che dobbiamo incasellare e catalogare tra un Castiglione delle Stiviere sicuramente Alto mantovano e una Moglia sicuramente Basso mantovano, non sempre troviamo le fasce geografiche più comode e più giuste per San Martino dall’Argine -che bello quel centro così a portoni delle aziende agricole tra portici e chiese-, o Roverbella, che bella che ci porta verso il Garda. Appena vedi il cartellone stradale Roverbella ti sembra di essere quasi sul lago.

Se pensiamo al triangolo del territorio mantovano, incuneato amministrativamente tra Veneto ed Emilia, ci vien da pensare ad una specie di triangolare mantello di martiniana memoria, che copre aree di confine ma al contempo centrali, confini come ponti e non come barriere. E su questo punto del ponte tra territori e culture nella funzione ponte non ci batte nessuno.

Noi che da sotto il Po di Borgoforte siamo già quasi emiliani, noi che da Castel d’Ario Villimpenta ci possiamo ben inserire nella cultura veneta, noi che tra Solferino e Castiglione e fino ad Asola possiamo confluire nella parlata e nella cultura bresciana, noi che tra Marcaria e Bozzolo possiamo pensare già cremonese come fossimo a Piadena, già a Piadena, accipicchia.  E via geografando.

I confini della provincia di Mantova come i lembi del mantello che accarezzano e separano, che accarezzano e uniscono, che avvolgono e proteggono come fa un mantello. Mi viene in mente, come accennavo, quel documento straordinario che è la lettera pastorale del Cardinale Carlo Maria Martini, arcivescovo di Milano,  del 1991 intitolata appunto “Il lembo de mantello” in cui l’arcivescovo parla di comunicazione e  di come  questa comunicazione (pensiamo com’erano quegli anni molto tumultuosi) debba essere rispettosa della realtà e dell’uomo e, proprio per questo, in grado di diventare lembo del mantello, ovvero strumento di educazione e crescita. Il messaggio di don Primo Mazzolari tuonava e tuona tuttora da uno dei lembi del matello della provincia di Mantova, a cavallo di culture e tradizioni, forse diverse ma rispettosamente simbiotiche, e rafforza una posizione che fa cerniera delle differenze. Mica male, mica poco. Poi visto che ci sono mi preme sottolineare n aspetto di genere della lingua: Basso o Bassa?, il Basso o la Bassa?

Diamo per assodato che l’Alto mantovano è Alto non s’è mai sentito formalmente e nessuno -credo- ha mai scritto l’Alta Mantovana, ma perché il Basso mantovano a volte può diventare Bassa mantovana? A ben guardare e a ben sentire anche il suono pronunciando la parola, Basso e Bassa non sono la stessa cosa? Eh no! Il Basso mantovano è tecnicamente un’area geografica con quanto contiene, nella espressione Bassa mi par di leggere un qualcosa di antropologicamente più complesso, di più vissuto, di più partecipato, non è solo un’area geografica, è un modo di vivere, un modo di vedere. Un modo di sentire. Non a caso lo stesso Giovannino Guareschi parlava e scriveva di Bassa attorno al Po, dall’altra parte del Po rispetto al mantello mantovano, dall’altra sponda del grande fiume. E ci risuona nelle orecchie anche dai vari film questa Bassa che ci richiama immagini e suoni. E la chiama la Bassa, anche senza aggiungere altro. Perché la Bassa è la Bassa, adesso e qui.