Colaninno, ritratto di un imprenditore lungimirante

MANTOVA Poteva essere un atteso fine settimana sportivo per gli appassionati delle due ruote, incollati a Canale 8 per tifare appassionatamente Espargaró e Viñales, i portabandiera dell’Aprilia, marchio targata “MN”. Purtroppo questa gara austriaca di MotoGp si è già listata a lutto. Oggi ogni mantovano che senta in sé l’orgoglio della propria appartenenza deve sentirsi orfano. Roberto Colaninno è scomparso, e con lui ciò che d’Annunzio disse già di Pascoli, per altri titoli e meriti, «l’ultimo figlio di Virgilio», l’ultimo mantovano che ha lavorato tenacemente per realizzare qualcosa di più grande di un umanissimo sogno individuale. 

Molte volte, specie in quest’anno cadenzato dal trentennale della morte di Raul Gardini, ci è corso spontaneo il parallelismo fra l’uno e l’altro imprenditore, il ravennate e il mantovano. Liberi dalle piaggerie della memoria e dalle etichette di circostanza (talune spese persino negativamente), ci siamo convinti che non basta lo spirito di intrapresa per fare di un faccendiere un finanziere, di un affarista un imprenditore, o di uno scaltro imprenditore un vero capitàno d’industria. Con ruoli distanti e in àmbiti differenti, Gardini e Colaninno sono stati gli originali campioni creativi del nuovo capitalismo, senza le scorie ottocentesche che il termine potrebbe evocare, ma senza le denotazioni riduttive che la nostra contemporaneità è solita attribuirvi. Quando un’attività qualsiasi venga prodotta con lucida immaginazione, con regole severe e disciplina, con capillare conoscenza del campo d’azione, nonché vasta lungimiranza e profetica intelligenza, allora si deve parlare di genio, non più di sola intelligenza.

Nei giorni dell’ascesa, Colaninno era da taluni nominato “il ragioniere”, e la qualifica ai morditori forbiti e agli invidiosi era rimasta con presunzione di sovrapporsi alla laurea “honoris causa” tributatagli (e a chi, se non a lui?) per avere scalato le vette della Telecom partendo dall’amministrazione di una piccola impresa come la Fiamm Filter. Se mai avessimo avuto la possibilità di intervistarlo, siamo certi che Colaninno avrebbe preferito il suo sudato diploma di ragioniere che il sudaticcio riconoscimento “ad honorem” – posto che il ragioniere non è solo un contabile, ma un esponente della “ragione”, in senso nuovo, moderno e illuministico. Come uno scacchista, il ragioniere muove un pezzo sapendo ciò che avverrà dieci mosse più avanti. Questo non lo fa il laureato “honoris causa”. Lo fa il ragioniere, e a questo punto togliamo persino le equivoche virgolette.

Sì, Colaninno è stato un genio. Tanto genio che spesso dovevano trascorrere i decennî perché, anche ai mediocri come noi trasparissero certi disegni non recepibili sul momento, ma perspicui nel lungo termine. Gardini voleva spostare l’energia in direzione “green”? Colaninno ha parimenti intuìto con largo anticipo tutte le svolte epocali che lo avrebbero portato a trasformare rottami industriali in gioielli produttivi, cioè in capitale, in innovazione, in lavoro e, in definitiva, in futuro.

Fu la sua e la nostra fortuna non essere stato assunto negli anni ’60 in Banca Agricola, sogno di tutti i mantovani medî (specie se figli, come lui, di un maresciallo dell’Esercito addetto all’approvvigionamento della mensa Ufficiali nel presidio di corso Vittorio Emanuele). Una selezione del personale alla Fiaam Filter di Francesconi lo accreditò invece come “genio”, dandogli viatico alla scalata della piramide di Carlo De Benedetti che lo impose nei ruoli di vertice della Sogefi (la cassaforte del gruppo) e della Finegil, capofila del gruppo Repubblica-Espresso. 

Pensava, forse, De Benedetti di poterlo utilizzare come seppellitore dei proprî fallimenti. E lo pensò soprattutto quando lo collocò al vertice dell’agonizzante Olivetti. Ma per certo non realizzò con chi aveva a che fare. Colaninno, anziché farsi esecutore testamentario a Ivrea, convertì quell’azienda decotta e non competitiva coi colossi avanzanti della Corea e della Cina in un punto di forza della nascente telefonia mobile. Ne nacque Infostrada-Omnitel. E fu quello il trampolino di lancio per guardare a qualcosa di ancóra più grande: over and over again, sempre più su. 

Con una spregiudicata cordata finanziaria, arrivò a conquistarsi la vetta della Telecom, il gioiello di famiglia messo all’incanto dal governo Prodi. Seguì l’incorporazione delle “Pagine Gialle”, altro reliquato del ventesimo secolo da proiettarsi nel nuovo millennio del web. Il crepitacolo agonizzante della telefonia fissa, grazie a Colaninno si aprì verso gli orizzonti futuristici della telefonia mobile. 

Nel mezzo, noi mantovani, abbiamo sofferto una perdita di identità. La perdita della Banca Agricola, su cui nel 1999 il Montepaschi aveva lanciato l’opa. Colaninno al tempo sedeva nel Cda della banca, e storia nota a tutti è che l’acquisizione della Bam doveva coincidere con il salvataggio di un altro colosso industriale mantovano. Anche in quel caso Colaninno fu “scacchista”, prevedendo le dieci mosse avanti dell’avversario. L’avversario nel caso era il sistema bancario tutto proiettato verso le grandi concentrazioni, ovvero i colossi. E l’ultima parola sulla vendita del tesoretto di famiglia virgiliano fu la sua. I senesi vogliono comperare? Sta bene, disse lui, purché l’offerta sia congrua. E il rialzo del valore azionario lo decise Colaninno, non chi ne avrebbe tratto solo l’utile immediato. Contro l’ineluttabile non si poteva andare, ma almeno serviva avere sufficiente autorità prima di alzare la bandiera bianca della resa. Anche in quella circostanza Colaninno dimostrò la statura necessaria per imporre condizioni vantaggiose per il soggetto promissore rispetto alle offerte del promittente. Mantova perdeva la propria banca, ma non presentandosi all’acquirente col cappello in mano.

L’ultima fase dell’iperbole imprenditoriale di Colaninno (non affatto una parabola) sta nell’operazione Piaggio. Sfumata per lui la scalata alla Fiat nei primissimi anni 2000, il ragioniere (senza virgolette) mise gli occhî sopra un altro reliquato, “res nullius”, dell’industria italiana. Colaninno era certo, e lo disse in una delle rare interviste concesse, che le città del futuro si sarebbero mosse sulle due ruote, non più quattro.

Oggi, 19 agosto 2023 (ieri per chi legge), giorno in cui il presidente si è congedato dalla sua missione umana, il Gruppo Piaggio che già aveva assorbito i colossi di Moto Guzzi, Gilera, Cagiva e Aprilia, risulta nelle cifre il primo gruppo industriale del motociclismo europeo con fatturati record, forte delle migliori performance produttive di sempre. Se già negli anni ’90 il glottologo Gianluigi Beccaria aveva sancito che la parola “Vespa” era la terza, fra le parole italiane più conosciute nel mondo, dopo il saluto “ciao” e la “pizza”, oggi siamo certi che “Vespa”, cioè Piaggio, abbia assorbito anche il “Ciao” (motociclo), relegando in coda la pizza. 

Questa, crediamo noi, sia l’eredità mantovana e mondiale di Roberto Colaninno, inventore di una nuova formula di imprenditoria volta costantemente e “scacchisticamente” al futuro. Un futuro nel quale Mantova ha giocato un ruolo fondamentale. Se poi volessimo e potessimo chiedere a Roberto Colaninno a che cosa servano i colossi bancarî, o il telefonino o le due ruote nella civiltà di domani, siamo certi che lui darebbe la stessa risposta che diede Edison allorché gli fu chiesto a che cosa servisse la sua lampadina elettrica: «E a che cosa serve un bambino che nasce?». 

Ci sono uomini che nascono per il presente. Roberto Colaninno – e la sua grandezza sta in questo – nacque per il futuro, e occorre saperlo interpretare.

Davide Mattellini