Negò la tresca con l’amante dichiarando al giudice il falso, condannato anche in appello

L’avv. Luca Faccin

MANTOVA Era stato chiamato a testimoniare in una causa civile atta a disporre lo scioglimento della comunione dei beni acquistati da una coppia di coniugi in costanza di matrimonio. Ma il tenore della sua deposizione, incentrata sugli effettivi rapporti sentimentali da lui instaurati da tempo con una delle parti in causa, alla fine gli era costata un rinvio a giudizio. Alla sbarra, per il reato di falsa testimonianza, era così finito L.D., 57enne di Mantova. I fatti a lui contestati risalivano nella fattispecie al 10 novembre 2014. Quel giorno innanzi al giudice della sezione civile Sara Telò, l’uomo era comparso per rispondere a precise domande circa la relazione extraconiugale avuta con una 50enne anch’egli residente nel capoluogo virgiliano, e parte attrice in quel procedimento intentato per determinare la spartizione dei corredi nuziali. Stando alla ricostruzione il matrimonio tra i coniugi, contratto nel 1992, sarebbe naufragato proprio a causa di quella relazione clandestina – non la sola addebitata in tal frangente alla moglie – comportando a carico dell’ex marito, un 55enne poi trasferitosi a Levata di Curtatone dopo la separazione, ripercussioni consistenti in sofferenze fisiche e morali. Anche se sotto giuramento, il teste aveva invece negato ogni tipo di consumata infedeltà, confermando ad ogni modo una superficiale conoscenza tra i due fatta di sporadiche frequentazioni e solo a titolo meramente lavorativo.
Questo, nonostante fossero stati addotti, in tale sede, specifici elementi probatori quali molteplici riprese fotografiche e video effettuate da un investigatore privato assoldato dal marito tradito, che certificavano i ripetuti incontri tra gli amanti e consumati tra il dicembre 2008 ed il gennaio 2009. Di fronte a tali inequivocabili prove però, il 57enne aveva invece soltanto dichiarato di riconoscersi in dette immagini ma negando ogni sorta di relazione amorosa nonostante le evidenze del caso come un bacio furtivo scambiato tra i due in auto e immortalato su pellicola fotografica in fase di pedinamento. Nell’aprile del 2019 si era così arrivati all’epilogo di primo grado della vicenda anche in ambito penale: l’imputato comparso di fronte al giudice per l’udienza preliminare Gilberto Casari era infatti stato condannato con rito abbreviato ad un anno e quattro mesi di reclusione, pena sospesa. Nella medesima circostanza era stato altresì riconosciuto all’ex marito, in qualità di parte civile e rappresentato in giudizio dall’avvocato Luca Faccin, un risarcimento del danno pari a 2mila euro.
Una sentenza questa avverso la quale la difesa del 57enne aveva fatto ricorso. Lo scorso 25 giugno dunque davanti alla prima sezione penale della Corte d’Appello di Brescia si è tenuto il processo di secondo grado. Il procuratore generale in detta circosranza aveva richiesto a carico della parte ricorrente la conferma del dispositivo emesso dal gup di via Poma mentre il giudice, ritenendo più congruo concedere le attenuanti generiche, ha quindi sì confermato la condanna dell’imputato ma diminuendone l’entità finale di circa 6 mesi per un totale di 10 mesi e 20 giorni di reclusione a lui comminati, sempre con sospensione condizionale della pena. Confermato anche il risarcimento alla parte civile che diverrà esigibile solo una volta divenuta definitiva la sentenza (a ottobre è fissata la scadenza dei termini per l’impugnazione in Cassazione).