Delitto del Boma, doppia condanna per oltre 27 anni di reclusione

MANTOVA Doppia sentenza di condanna, per complessivi 27 anni e 4 mesi di reclusione. Questo quanto deciso, ieri pomeriggio, dal giudice per l’udienza preliminare Arianna Busato nei confronti dei due responsabili del delitto del Boma: Abdelwahad Hoshush, 32enne marocchino e il connazionale 35enne Bouchta Bouchari, entrambi giudicati con rito abbreviato; nello specifico la pena comminata a loro carico, circa le accuse di omicidio volontario e tentato omicidio, è stata rispettivamente di 16 anni e 8 mesi e 10 anni e 8 mesi, a fronte della richiesta avanzata in requisitoria dal pubblico ministero Lucia Lombardo di 20 e 16 anni.
Stabilita altresì, oltre al risarcimento del danno da quantificarsi in sede civile, una provvisionale in favore delle tre parti civili da 20mila euro ciascuna. Nello specifico il fatto di sangue, occorso nel piazzale del centro commerciale La Favorita, risaliva alla notte del 2 luglio 2021. Vittime del brutale pestaggio, perpetrato a colpi di mazza da baseball, Atilio Ndrekaj, 24enne albanese all’epoca domiciliato da qualche tempo nel capoluogo virgiliana a casa di uno zio (costituitosi parte civile unitamente al fratello del giovane deceduto con l’avvocato Omar Bottaro) e Pierfrancesco Ferrari, 37 enne di San Giorgio (anch’egli a processo quale parte civile con l’avvocato Arianna Monelli). Il primo deceduto al Carlo Poma dopo quarantottore di agonia, il secondo invece, sopravvissuto fortunatamente a quello che fin da subito era apparso come un agguato in piena regola addebitabile, secondo l’ipotesi inquirente, ad un regolamento di conti in materia di stupefacenti. Stando infatti agli elementi probatori addotti al giudizio sarebbe stato il 32enne, difeso dagli avvocati Marina Manfredi del Foro di Brescia e Stefania Giribaldi del Foro di Cremona, a percuotere ripetutamente al capo il giovane albanese dopo avergli sfilato di mano la mazza con cui la vittima si era presentata all’appuntamento. Sulla base di tali elementi la difesa dell’imputato, a cui era altresì contestata la recidiva specifica, sempre innanzi al gup aveva invocato l’attenuante della legittima difesa con contestuale richiesta di riqualificazione del capo d’accusa principale da omicidio volontario a preterintenzionale. Riconosciuto più marginale, ma ugualmente determinante nel portar a compimento l’intento delittuoso, il ruolo avuto dall’amico, difeso dall’avvocato Emanuele Luppi del Foro di Verona. Le immediate ricerche avevano portato i militari dell’Arma ad individuare, sei giorni dopo nei pressi di Varese, uno degli autori materiali di quel brutale pestaggio finito con un morto ammazzato. In manette era così finito Bouchari, ristretto fin da subito in regime domiciliare con braccialetto elettronico e in quel periodo, pur senza fissa dimora, di stanza nel Suzzarese. Il complice invece, dopo sei mesi di latitanza era stato rintracciato ad Algeciras, cittadina a poca distanza da Gibilterra, grazie all’attività dei carabinieri del Reparto operativo e del Nucleo investigativo di Mantova e quindi estradato e associato alla casa circondariale virgiliana, dove si trova tuttora detenuto.