Il pentito: “Così il clan assegnava il comando nel Mantovano”

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MANTOVA Incalzato dalle domande del pubblico ministero della Dda di Bologna Beatrice Ronchi, ha fatto luce circa i cosiddetti giuramenti di ritualizzazione all’interno del clan, argomentando altresì come non vi fosse differenza tra “soggetti a disposizione” della consorteria e “ritualizzati” quale sorta di “fidelity card” criminale. A parlare di nuovo, ieri in aula, in qualità di testimone dell’accusa, il “pentito” di ‘ndrangheta Antonio Valerio, escusso nel processo “Grimilde”, in corso con rito ordinario a Reggio Emilia e relativo alle attività illecite degli esponenti della consorteria di Cutro non solo in Emilia ma anche nel Mantovano. E proprio partendo da quell’incipit sulle modalità di affiliazione al sodalizio, il 55enne collaboratore di giustizia ha spiegato come avvenne la ritualizzazione di Antonio Rocca, 52enne manovale di Borgo Virgilio condannato in via definita a 4 anni e 6 mesi per truffa, relativamente ad una compravendita di piastrelle quale intermediario del boss Nico – lino Grande Aracri, nell’ambito del maxi processo Aemilia. «Io, Gaetano Blasco, Alfonso Diletto e Francesco Lamanna avevamo ricevuto l’ordine – ha spiegato Valerio – di ritualizzare Rocca, per affidargli la responsabilità di controllare il territorio virgiliano per conto dei Grande Aracri, impedendo così che lo “scettro” di comando dell’area andasse a Pino Loprete». Tra gli altri argomenti sviscerati nella seduta di ieri Valerio è tornato pure sull’affare Oppido. I fatti in tale caso di specie risalgono al 2010 quando il sodalizio criminale riuscì a farsi staccare il corposo assegno da 2,2 milioni dal ministero delle Infrastrutture attraverso una falsa sentenza – attribuita ad un giudice del Tribunale di Napoli – che imponeva il pagamento della somma a titolo di risarcimento per l’esproprio di un terreno (in realtà inesistente) di proprietà dell’azien5da degli Oppido. Infine il pm Ronchi ha schivato pure la trappola preparata contro di lei dall’avvocato di Domenico e Gaetano Oppido. In sostanza sempre nell’ambito di tale vicenda i suoi assistiti avrebbero presentato una denuncia per estorsione nei confronti di Antonio Valerio. Ma la procura non vi avrebbe dato seguito, mancando così al proprio dovere di esercitare l’azione penale. Pertanto, l’avvocato aveva chiesto di procedere nei confronti del pubblico ministero “dal punto di vista disciplinare o penale”. La Corte ha però respinto tale istanza di ricusazione, dichiarandola “inammissibile”.