Oncologia del Poma: ematologa assolta perchè il fatto non sussiste, era accusata di omicidio colposo

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MANTOVA – Si è concluso con una sentenza di assoluzione il primo round di un processo che vede sotto accusa cinque medici del reparto di oncologia dell’ospedale Carlo Poma di Mantova, tra i quali il primario  Maurizio Cantore. Ieri davanti al giudice  Gilberto Casari è stata discussa la posizione di Roberta Gaiardoni, unico medico dei cinque rinviati a giudizio lo scorso 31 ottobre, che ha scelto di affrontare il processo con rito abbreviato, mentre gli altri quattro, ovvero lo stesso primario Cantore, il suo vice, Roberto Barbieri e le oncologhe Carla Rabbi e Maria Donatella Zamagni, affronteranno il processo dibattimentale l’anno prossimo. I reati contestati a vario titolo sono omicidio colposo, lesioni aggravate con l’ipotesi di procedure diagnostiche e terapeutiche inadeguate, falso in atto pubblico e violazione delle norme sulla privacy. A Roberta Gaiardoni, ematologa del Poma, venivano contestati due casi di omicidio colposo relativi al decesso di una paziente che aveva un tumore al seno e di un paziente con un tumore ai polmoni. Accuse che erano cadute già prima della sentenza del gup, quando la stessa pubblica accusa aveva chiesto l’assoluzione del’imputata per non avere commesso il fatto. Nei confronti dello staff medico del reparto di Oncologia la procura aveva individuato precise responsabilità – da dimostrare in sede processuale – e relative alla morte o alle lesioni arrecate a tre pazienti, poi saliti a quattro. All’incirca un anno fa gli inquirenti avevano infatti, proposto la chiusura di 28 delle 31 cartelle cliniche esaminate, quando allo stesso tempo erano stati notificati ai cinque indagati gli avvisi di chiusura delle indagini per l’ipotesi di omicidio colposo. Le cartelle prese in esame erano state oltre un centinaio e riferite ad un periodo di tre anni, dal febbraio 2014 al febbraio 2017. Le indagini avevano preso il via dalle segnalazioni di due medici che contestavano ai colleghi il mancato utilizzo di farmaci mirati e di ultima generazione al posto di terapie regionali. Il sospetto era quello che potessero essere state scelte modalità meno efficaci ma con basso costo per l’azienda ospedaliera a fronte di un sostanzioso rimborso dalla Regione. Nel 2015 poi i cinque erano stati iscritti nel registro degli indagati: l’accusa iniziale era stata che le decisioni sulle linee guida da adottare nelle terapie fossero state prese collegialmente. Intanto, in attesa del dibattimento, è arrivata una prima assoluzione.