Spese pazze in Regione, Boni: mi hanno rovinato la vita

Maccari: "Non avrei nemmeno dovuto essere coinvolto"

CARLO MACCARI POLITICO
Carlo Maccari

MANTOVA Una bella schiarita nel cielo già plumbeo di  Davide Boni, già assessore alle infrastrutture e poi presidente del consiglio al Pirellone. Per lui l’accusa era più grave che per altri: truffa, oltre che peculato. Gli si contestava di avere dichiarato una falsa residenza (Sabbioneta anziché Milano) e di avere fatto le creste sui rimborsi della benzina. Per avere preso un leghista nel suo staff di presidenza invece era già stato assolto in precedenza. Ieri il chiarimento definitivo: prescrizione per la residenza e assoluzione per auto e benzina. In compenso, una carriera politica stroncata.
«Ho subito due processi che mi hanno stroncato la vita politica, e anche le mie famiglie, e il risultato è che da una parte vengo assolto e dall’altra prescritto. Così da 7 anni ho interrotto ciò che non riprenderò più».
L’amarezza si estende al suo stesso partito, la Lega, che nel dubbio lo ha scaricato: «Il movimento ha visto figli maggiori e minori, e io ero evidentemente minore, tanto da accettare di non candidarmi più per evitare che la Lega venisse messa in mezzo. Il tutto perché ho dato un incarico nella mia segreteria a uno che, mentre io lavoravo, a volte guidava la mia macchina, in quanto avevo rinunciato all’auto di servizio». I procuratori non ci avevano creduto, sostenendo anzi che così facendo Boni avrebbe fatto spendere il doppio alla Regione. «Non tennero conto però che un assessore o presidente del consiglio può avere fino a dieci collaboratori (peraltro pagati pochissimo)». Ma questo non muove a Boni istinti di rivalsa. «Non ho mai smesso di fare politica, anche senza avere accettato candidature in questa Lega, nella quale peraltro non mi riconosco. Oggi è una Lega da nord a sud, non più da est a ovest».
Fuori dal carroccio, Boni ha preso la via del Grande Nord di  Roberto Bernardelli che riparte da Miglio e Pagliarini, «cioè dalla vera forza autonomista, indipendentista e anti-centralista. Guardiamo a tutti i movimenti indipendentisti e federalisti; un vero sindacato del nord».
Alle spalle invece si lascia 8 anni di traversie e danni morali. Ma anche materiali: «In questo tempo ho speso quasi 150mila euro di avvocati, e anziché l’amministratore faccio il consulente sul lavoro da libero professionista. Sono in giro per tutta Italia e ho clienti ovunque, da Firenze a Caserta». Nel mezzo, non ci può ormai più stare un riavvicinamento a Salvini: «Matteo ha scelto una strada diversa per un partito nazionale di centrodestra, ed è legittimo, ma ha abbandonato il nord. Ora abbraccia il reddito di cittadinanza, che è poi il contrario di volere autonomia e federalismo. Io sono sempre rimasto dove ero prima. C’è chi dice che abbia tradito il nord, ed è vero. Persino il movimento non si chiama più “Lega nord per l’indipendenza della Padania”, ma “Lega Salvini premier”. Io lotto ancora per altre cose».
Quanto agli altri colleghi condannati o assolti i distinguo si riducono: «Per alcuni mi spiace, ma come dissero a me quando arrivarono gli avvisi, chi sbaglia paga, o come si dice a Mantova, “chi toca leva”. Sono sicuro che riusciranno in appello a dimostrare la loro estraneità».  Non ho nemmeno avuto modo di parlare. La Gdf tirò a sorte quasi per sostenere che non era possibile che io non avessi commesso qualcosa. Il pm Robledo non mi aveva neanche sentito, e ho ricevuto l’avviso a istruttoria chiusa. È toccato a me presentare le norme e dimostrare che le spese assessorili passavano tutte per il direttore generale; io non c’entravo. Quello adottato con me è un metodo che non può esistere». Resta l’amarezza per l’ex assessore all’informatizzazione  Carlo Maccari (Fd’I), tenuto 4 anni sulla graticola prima di sentire la sentenza di assoluzione piena. «Diversamente dai consiglieri, noi assessori non avevano disponibilità di spesa. E io comunque non mi sono mai servito nemmeno dell’auto blu: usavo la mia».
La conclusione comunque, pur nella vittoria, resta una: vita e carriera sono state pregiudicate: «Non me la sono più sentita di proseguire. Il reato contestatomi di peculato è grave, e non è possibile andare a dire che siamo per questo e quello se gravati da un’imputazione penale. Meno male che almeno i giudici hanno capito me e altri quattro che non c’entravamo», conclude Maccari.