MANTOVA – D(i)ritto al cibo: un gioco di parole e il titolo di un libro che indicano il tema ieri sviluppato durante l’incontro che ha visto protagonisti l’autore Andrea Segrè e il direttore di National Geographic e Le Scienze Marco Cattaneo. Partendo dal presupposto che tutti abbiano diritto ad alimentarsi in modo sicuro e sano, esistono poi alcuni fattori che vanno a squilibrare la situazione: le persone obese sono il doppio rispetto a quelle che non arrivano al sostentamento e un terzo del cibo prodotto va sprecato, in un perenne contrasto tra accesso al cibo ed eccesso dello stesso. Tra le ricerche di Segrè, professore presso l’Università di Bologna, anche quella mirata a capire in quale punto della filiera avvenga lo spreco maggiore: nei paesi in via di sviluppo al momento del raccolto la perdita arriva anche al 30 per cento, in quelli più sviluppati la questione diventa comportamentale, poiché il mancato consumo del prodotto sta direttamente nelle nostre case. Questo, naturalmente, anche in funzione della quantità quasi illimitata di proposte a disposizione, unite a prezzi appetibili. Anche se a scegliere cosa acquistare dovrebbero essere i fruitori della merce.
Poi c’è tutto il resto del mondo collegato all’alimentazione o alla sua immagine: lo storytelling, le trasmissioni televisive, gli eventi mediatici attorno a un concetto di cucina che, di fatto, non esiste.
Allora, tornando alla concretezza, come progredite nel settore, tenendo conto del fatto che l’attuale produzione agraria sarebbe già in grado di nutrire l’intera popolazione mondiale? Ad esempio attraverso la cittadinanza alimentare, comprendendo il reale impatto sociale ed economico dello spreco, arrivando ad azzerare lo sperpero partendo dal nostro frigorifero. E lavorando sulla prevenzione del fenomeno, ossia attraverso l’educazione scolastica. Importante pure il supporto delle istituzioni locali, andando a prendere le eccedenze da donare dove queste si formano. Nelle mense scolastiche, ad esempio, si conta uno spreco medio del 30 per cento, che potrebbe essere recuperato. In un contesto più ampio la possibilità di riequilibrare la filiera attuale prevede alcune valutazioni: il cibo, che è un bene comune, passa attraverso multinazionali per quanto concerne la vendita e dalla finanza riguardo il suo valore. Soggetti che non hanno alcun interesse ad attuare determinati cambiamenti. Si torna, pertanto, all’assunto iniziale: l’utilizzo del cibo deriva da una scelta dei fruitori, che siamo tutti noi. Quindi solo dalle nostre abitudini, o dal loro mutamento, si può arrivare a influenzare il mercato.