Vince il festival di Mantova l’opera prima “Una femmina”

MANTOVA Con la cerimonia di premiazione di ieri sera, seguita dal concerto dell’Interstellar Orchestra in omaggio al compositore tedesco Hans Zimmer, è terminata la 15ª edizione del Mantova Film Fest. Ad aggiudicarsi il Lauro di Virgilio come migliore opera prima nazionale è stato il film “Una femmina” di Francesco Costabile, il più gradito dal pubblico. Sul palco a consegnare il premio al vincitore, convocato per l’occasione, sono stati il maestro Giordano Fermi, presidente del Conservatorio, l’assessore Andrea Caprini e, Salvatore Gelsi, presidente di Mantova Film Studio.
Per tracciare un bilancio della manifestazione, ormai longeva e non più così piccola, occorre una premessa: il contenuto è importante, ma senza una forma adeguata non può essere valorizzato. Dunque, va sottolineata la qualità degli allestimenti: oltre la funzionalità di quelli al chiuso, i tre schermi all’aperto (Chiostro e Giardino del Conservatorio, Arena Mignon) avevano la dimensione giusta per magnificare le proiezioni, peraltro impeccabili; hanno fatto il resto la sobrietà del contorno e la presenza discreta ma sollecita dei volontari (per lo più giovanissimi), così da fornire rapide informazioni e regolare il flusso degli spettatori. La macchina organizzativa messa in piedi dall’associazione Mantova Film Studio disponeva inoltre di Paolo Cenzato, che ha svolto le funzioni di ufficio stampa e ha introdotto alcuni film, del regista Germano Maccioni, che ha presentato gli ospiti, e soprattutto di Agostino Cenzato, a risolvere tutti i problemi del festival – prima, durante e forse anche dopo.
Veniamo ora al contenuto. La selezione delle opere prime in concorso si è dimostrata di buon livello, attenta alla varietà che il cinema odierno presuppone; ossia, accanto a titoli drammatici, non è mancata la levità della commedia, né la contaminazione fra fiction e documentario. Anche la parità di genere è stata rispettata: la metà dei titoli recava una firma femminile. Si diceva delle infiltrazioni documentaristiche; da sempre il MFF prevede una sezione dedicata al cinema documentario: in questa edizione, i cinque titoli scelti (tutti inediti per la città) si sono rivelati di straordinario valore. Quanto agli esordi stranieri, è un peccato che il maltempo abbia impedito la visione del primo film in programma (“After Love”); in ogni caso, anche qui il livello era elevato.
Dopo la magra delle due ultime edizioni, segnate dall’emergenza sanitaria e dalle restrizioni conseguenti, la presenza di ospiti è tornata congrua: hanno accompagnato i film i registi Gianni Costantino (“Sposa in rosso”), Alessandro Cassigoli (“Californie”), Viviana Calò (“Querido Fidel”), Andrea Brusa (“Le voci sole”); gli attori Roberta Giarrusso e Dino Abbrescia (“Sposa in rosso”); il montatore Niccolò Andenna (“Querido Fidel”). Sono però le presenze in termini di pubblico a costituire il termometro di un festival; senza ancora dati certi, è il colpo d’occhio l’unico misuratore. Affollate le proiezioni serali, naturalmente; ha sorpreso invece che le repliche pomeridiane delle opere prime in concorso abbiano fatto a loro volta il pieno. Inaspettato anche l’alto numero di spettatori per la sezione Filmdoc, segno che il pubblico del MFF è ormai fedele e smaliziato – composto di appassionati sì, ma competenti. Lo conferma il fatto che gli abbonamenti abbiano nettamente prevalso sugli ingressi occasionali. La nota dolente, semmai, è la ridotta componente dei giovani; si sa tuttavia che è una tendenza generale: il cinema in sala in luogo del salotto pare destinato alla vecchia guardia. Eppure, una retrospettiva come quella su Luciano Salce non ha esercitato sufficiente attrattiva; si tratta certamente di un cineasta misconosciuto, ma senza il quale la statura di molti protagonisti della commedia all’italiana (Ugo Tognazzi, Vittorio Gassman, Paolo Villaggio) si sarebbe forse ridimensionata.
Tirando le somme, la 15ª edizione del MFF va considerata senz’altro positivamente; il suo sostanziale successo tiene accesa la speranza che, almeno sotto la sindrome da festival, esista ancora la possibilità di condividere l’illusione filmica su grande schermo, in mezzo a una platea anonima quanto intenta alla visione. Ci auguriamo allora che l’anno prossimo torni per la sedicesima volta l’iniziativa promossa da Mantova Film Studio. Magari potendo contare su una stagione di incassi finalmente decente.
Claudio Fraccari