Al Ponchielli il festival Monteverdi si chiude con un trionfo

CREMONA Plastica, olimpica, grondante pathos. Come poche altre la voce di Raffaele Pe conduce nelle viscere del sentimento umano e spalanca una drammaturgia acuta, dirompente su pagine che a mezzo secolo di distanza sembrano parlarci, e soprattutto, parlare di noi. Il teatro degli affetti è tutto dentro le linee di frasi che abitano nell’aria, nelle vampate di sussulti, nei filati lunari degli indugi. Un portento di tecnica scaldata al fuoco di un’indagine nell’uomo di ieri e di oggi. Di sempre. A chiusura del Festival Monteverdi, in un Teatro Ponchielli dalle troppe poltrone vuote per l’evento che era, lo scorso 26 giugno, accompagnato dai valenti musicisti dell’ensemble La sua Lira di Orfeo e della guest star Danielle De Niese, il controtenore lodigiano ha dato un saggio di quanto audace, eternamente attuale, insinuante, sia il lascito di quel nostro quasi conterraneo vissuto tra Cremona, Mantova e Venezia, luoghi in cui ha instillato il seme di una nuova visione del mondo visto attraverso la lente della musica. Sul leggio di un’autentica gara di bravura, miniature come abissi in cui nulla dell’umana commedia e della sua sottesa verità manca. E, così sapientemente esplorato, il forziere monteverdiano spalancava i suoi mirabilia. L’appuntita ironia degli Scherzi musicali, l’incalzante ritmo di Vi ricorda o boschi ombrosi, condita da accenti degni di una ballata folk, la dolente mestizia dell’aulico Ohimé dov’è il mio ben; la devozione che cattura l’anima in un abbandono degno dell’estasi berniniana del Salve Regina. Ed un grappolo di frammenti tratti dalla Poppea nel cui profilo Monteverdi tratteggia, con lo scalpello chirurgico che gli è proprio, il giro di compasso di un cuore che ama: mestizia, languore, veleno, attesa, desiderio che subito trascolora in rimpianto, angoscia che frantuma il canto in singhiozzi sincopati. Complice l’intesa millimetrica con la formazione da lui fondata e diretta e la perfetta alchimia con il soprano australiano, la narrazione di Pe era strumento tra gli strumenti, racconto ed evocazione di abbacinante forza seduttiva, con sfumati ad accarezzare la zona dell’inconfessabile fino al non detto, al silenzio. Una serata di grazia, suggellata da un Pur ti miro di grondante sensualità.

Elide Bergamaschi