Sergio Marchegiani racconta il progetto “Mozart for Two”

MILANO Lo scorso 15 settembre è uscito per l’etichetta discografica Decca il nuovo cd “Mozart for Two” del duo pianistico Schiavo-Marchegiani, volume che completa la pubblicazione dell’integrale delle opere per pianoforte a 4 mani di W.A. Mozart. Abbiamo incontrato Sergio Marchegiani il quale, in una conversazione densa di spunti di riflessione, ha accettato di srotolare la tela di questo ambizioso progetto e di condividerla con i lettori.

  1. Maestro, con l’uscita, nelle scorse settimane, dell’ultimo volume, giunge a termine la vostra integrale mozartiana per pianoforte a quattro mani. Com’è cambiato, in questi anni di indagine serrata, il vostro rapporto con il compositore?

Mozart occupa un posto molto particolare nel viaggio del duo pianistico che formo da quasi vent’anni con Marco Schiavo. Il primo brano che abbiamo suonato insieme, infatti, è il Concerto per due pianoforti e orchestra K. 365 di Mozart, in Spagna, nell’agosto del 2006; quella fu, di fatto, l’occasione che portò alla nascita del duo. Da allora, la musica del genio di Salisburgo è sempre stata presente nei programmi dei nostri concerti. Ritengo perciò questa integrale il coronamento di una fascinazione che il tempo non ha fatto altro che accrescere.

Il cambiamento deriva naturalmente dal lungo studio, dalla ricerca, dall’assidua pratica concertistica e dall’approfondimento di questo repertorio condotto nel corso di tanti anni. Mozart è come un prisma con un infinito numero di facce: non riesci mai a coglierle tutte ma, con il tempo, di questo poliedro misterioso ti costruisci un’idea nella quale alla fine ti rispecchi e che ti rappresenta.

 

  1. Quando è nata l’idea di una simile sfida?

L’idea è nata nel 2019 dopo aver registrato, sempre per Decca, i Concerti per due pianoforti e orchestra K. 365 e K. 242 di Mozart (quest’ultimo, il celebre “Lodron”, è in realtà per tre pianoforti ma esiste una versione originale dell’autore per due). Fu un’esperienza meravigliosa perché suonammo con una magnifica orchestra, la Royal Philharmonic Orchestra di Londra, e sotto la direzione di un amico di lunga data, il M° Gudni Emilsson. Sull’onda dell’entusiasmo, abbiamo deciso di buttarci a capofitto in questo progetto così arduo e impegnativo.

 

  1. Nel corso della sua breve vicenda biografica, Mozart scrive con febbrile intensità. E la sua produzione, compresa e compressa nell’arco di una trentina d’anni, sembra attraversare un tempo quasi siderale: dagli esiti della prodigiosa infanzia verso sfide sempre più ardite e complesse per strumentalità e concezione, caratterizzate da uno spiccato respiro sinfonico così come da una fitta tessitura contrappuntistica. Quanto è difficile assecondare, e risolvere esecutivamente, una cifra identitaria così articolata e mercuriale?

Credo che il corpus delle opere per pianoforte a quattro mani possa essere considerato un buon esempio, quasi un riassunto breve dell’arco creativo mozartiano e delle straordinarie trasformazioni che attraversano il suo modo di scrivere dall’infanzia agli ultimi anni di vita. Ecco, forse questa è stata la sfida più difficile che abbiamo dovuto affrontare per registrare l’integrale: trovare gli strumenti – pianistici, musicali e anche intellettuali – per sintetizzare tale vertiginoso sviluppo.

 

  1. D’altronde, i due volumi discografici, da questo punto di vista, con la sola eccezione della Sonata KV 521, sembrano voler sottolineare la deliberata intenzione, da parte di Mozart, di incamminarsi, con l’avanzare degli anni, verso zone più abissali, tinte più scure del discorso musicale, unite alla dichiarata predilezione per una scrittura sempre più esplorativa e sperimentale, tesa a riscattare dal passato le matrici del contrappunto e della Fuga, per farne, insieme alla Variazione e alla Fantasia, propulsori primari di una sintassi ormai dirompente, portata a sprigionarsi con esiti ogni volta spiazzanti capaci di scardinare puntualmente le attese dell’ascoltatore.

Sono d’accordo. In particolare, le ultime due Fantasie K. 594 e K. 608 per organo meccanico sono davvero sorprendenti e, per molti versi, impressionanti; lontanissime rispetto alla luminosità e alla freschezza delle Sonate giovanili. Trovo inspiegabile il fatto che queste opere siano così poco conosciute ed eseguite perché contengono tanti elementi di straordinario interesse; la loro arditezza armonica, la complessità del contrappunto, la tensione drammatica anticipano in modo evidente il Romanticismo e aprono prospettive inimmaginabili sulla musica che Mozart avrebbe potuto scrivere se avesse avuto un po’ più di tempo a disposizione. Stupisce anche il fatto che questa proiezione verso il futuro prenda corpo in due pezzi d’occasione, scritti da Mozart per pura necessità materiale e, sembra, senza troppa convinzione a causa dello strumento al quale il committente le aveva destinate (un organo meccanico ad orologeria). Nonostante ciò, Mozart crea due opere mirabili, in particolare la Fantasia K. 608 che era assai ammirata da Beethoven il quale volle procurarsene una copia.

 

  1. Da sempre autore “pericoloso” nelle cui marmoree stanze è facile smarrirsi, per voi quale aspetto di Mozart è risultato più sfuggente e complesso da restituire nella dimensione cristallizzata dell’incisione discografica?

Gli aspetti complessi sono molti. Ne cito tre: l’equilibrio tra le parti, la trasparenza e la chiarezza dell’enunciazione. Direi che sono questi gli elementi sui quali abbiamo lavorato di più e sui quali, nel tempo, abbiamo costruito il nostro modo di affrontare questo meraviglioso repertorio.

 

  1. Altro tema spinoso, in fatto di approccio esecutivo alla produzione mozartiana, è quello della dimensione filologica. Come vi siete collocati in tal senso e qual è il taglio che avete inteso privilegiare?

Abbiamo nei confronti della filologia un atteggiamento che definirei laico: di conoscenza e attenzione, ma senza integralismi. Da un lato ci sono naturalmente la prassi esecutiva, il rispetto del testo e delle fonti; dall’altro, il tentativo di restituire la freschezza, la gioia, l’imprevedibilità e il gusto per la sorpresa caratteristici di una musica nata selvaggiamente libera. Ecco perché ci siamo presi qualche piccola libertà, sempre molto ponderata e finalizzata a un preciso obiettivo musicale. Valgano come esempi le cadenze delle due grandi Sonate, quella in Do maggiore K. 521 (inserita nel primo CD dell’integrale) e quella in Fa maggiore K. 497 (inclusa nel secondo). Nel primo caso abbiamo realizzato noi le piccole cadenze mentre nel secondo abbiamo voluto giocare con un accostamento sorprendente…

Quanto allo strumento, siamo felici di aver registrato sull’eccellente Steinway & Sons D-274 in dotazione alla Wiener Saal del Mozarteum.

 

  1. Ci sono interpreti che avete considerato come fonti di riferimento e di ispirazione nel corso del vostro progetto?

Per questo progetto non abbiamo avuto vere e proprie fonti di ispirazione anche se, naturalmente, ci sono modelli che ognuno di noi si porta dietro come preziosi bagagli, come bussole che indicano la via. Per quanto riguarda il duo pianistico vorrei citare almeno i fratelli Alfons e Aloys Kontarsky.

 

  1. Il progetto ha visto la luce nella Wiener Saal del Mozarteum di Salisburgo, a pochi passi di distanza dai luoghi di Mozart, là dove la sua genialità, ma anche buona parte della sua sofferenza, si sono esplicitate e consumate. Che vibrazioni vi ha dato questa prossimità anche fisica?

Non è casuale il fatto di aver registrato il disco nella cittadina austriaca che a Mozart ha dato i natali e nell’edificio – il Mozarteum – che per gli amanti di questo compositore costituisce una sorta di tempio. Sì perché questo CD, come già accennato, chiude un cerchio che abbiamo iniziato a tracciare molto tempo fa: insomma, era per noi un passaggio importante. Realizzarlo a Salisburgo ci ha permesso di calarci completamente in un’atmosfera che ad ogni passo rievoca la storia e il mito di Mozart.

La foto scelta per il retro del CD ritrae me e Marco di spalle mentre osserviamo Salisburgo dall’alto; lo sguardo corre sopra i tetti della città, nell’aria fredda e po’ grigia di una giornata d’inverno. Lo spirito di Mozart è qui, da qualche parte. Ci auguriamo di averne colto un piccolo riverbero e di essere riusciti a metterlo dentro le nostre esecuzioni.

 

  1. Cosa rimane ad un interprete, dopo un così intimo dialogo?

Rimane un arricchimento musicale, culturale, professionale e perfino umano senza paragoni. Riprendo la metafora del viaggio che, in questo caso, è stato davvero trasformante perché ci ha portato lontanissimo dal punto di partenza. Però resta anche il senso di vuoto tipico dei momenti nei quali si porta a compimento un progetto importante, al quale si sono dedicati tanto tempo e tante energie.

 

  1. Cos’è cambiato, nel vostro essere duo, a seguito di questa esperienza così sfidante e avventurosa?

Se torno con la memoria a quella prima esecuzione del Concerto per due pianoforti K. 365 – in Spagna nel 2006 – mi viene da pensare questo: più che portare un cambiamento, il lavoro così profondo e prolungato sulla musica di Mozart ha realmente plasmato il nostro modo di suonare insieme.

 

  1. Quale caratteristica distintiva vi sentireste di evidenziare all’ascoltatore, come invito ad affacciarsi sul vostro itinerario nel mondo di Mozart?

Ritengo che la gioia, il dialogo e lo scambio continuo, il sorriso, la leggerezza, il gusto per l’improvvisazione che emanano soprattutto dalle pagine giovanili del repertorio a quattro mani siano una trasposizione in musica del rapporto confidenziale e scherzoso che negli anni dell’infanzia e della prima giovinezza legava Mozart alla sorella Nannerl; il periodo in cui quelle opere videro la luce.

Quella stessa sensazione di gioco, affiatamento e complicità sono da sempre gli elementi che caratterizzano il modo di fare musica mio e di Marco. Ecco perché considero questa musica una sorta di specchio (il prisma del quale dicevo all’inizio!) nel quale abbiamo provato a fissare le caratteristiche fondanti e le motivazioni profonde del nostro sodalizio artistico e della nostra amicizia fraterna. Mi auguro che tale atteggiamento di gioia nel fare musica insieme si possano cogliere in questa integrale perché è il modo nel quale abbiamo affrontato quasi vent’anni di studio, di concerti e di viaggi in giro per il mondo. Nel segno di Mozart.

Elide Bergamaschi