Provinciali e cuor contento Parigi? Vuoi mettere Quistello!

MANTOVA – Lo sapete vero che Quistello è chiamata, anche, la Piccola Parigi. Ville Lumière, oh là là, della Bassa tra eventi e cantastorie, tra artisti e grandi chef. Provinciali e cuor contento, noi che sentiamo le radici palpitare anche a Time Square o a Berlino e che quando siamo sul ponte di Brooklyn ci viene in mente il ponte di Borgoforte e quello di San Benedetto Po. Parigi? Vuoi mettere Quistello con la sua torre campanaria inconfondibile e quel suo viale centrale con le aiuole fiorite anche d’inverno?! Parigi? Londra, Roma? Eh, vabbè ma vogliamo parlare di Castellaro Lagusello o della Torre di Gonzaga?! Mi ricordava mia nonna Clo, Clotilde al secolo, che quando un compaesano di San Prospero si perse in pellegrinaggio a Roma dalle parti del Colonnato di San Pietro, alla domanda di un vigile sul paese di provenienza lui pare abbia risposto: “A vegni dalla Vianina”. Vengo dalla Vianina, una corte della Bassa. Un corte, di per sé, può essere pure una capitale. Se ci fate caso anche tra i quistellesi che qui oggi celebriamo come emblema di una provincialità alta e forte, che nulla ha a che fare con il provincialismo, ci sono quelli che sono ben contenti di ricordare che sono nati a San Rocco e altri di Nuvolato, cioè frazioni e borghi. Provate a chiedere a un abitante di Bondeno di Gonzaga se dice che è di Gonzaga senza dire che è prima di Bondeno. Evviva Bondeno, dunque. “Sei di Marcaria? Chi, io? Vendo da Campitello”. Culture e civiltà anche piccole, anche minute, ma fortissime. A patto che facciano rete e massa. I tempi lo chiedono. Forti nelle differenze, uniti nei bisogni e nei servizi. Eh lo so che sei di San Benedetto dicevo a un collega storico. E lui mi fissava e mi diceva: a sun ad Mirasul, son di Mirasole. Eh qui ci sono tante frazioni e paesi: San Siro, Mirasole, Portiolo, Gorgo, Bardelle, Villa Garibaldi e Zovo, strade e chiese, campanili e un monumento che fanno paese. A volte preseèe. L’ente, entità intermedia, che tutti citiamo quasi prima della nazionalità anche all’estero è la provincia. Che ci hanno un poco incasinato, come direbbero i nostri millennial. Dove c’è, dove non c’è, dove è a metà e si chiama città metropolitana.

Siamo europei e occidentali, siamo italiani e toscani, siamo italiani e lombardi o campani ma quando ci chiedono a bruciapelo all’università come all’anagrafe, alla leva militare come ad un quiz radiofonico o televisivo “di dove sei?” noi rispondiamo “della provincia di Siena, della provincia di Mantova, della provincia di Teramo, della provincia di Lecce” e via provinciando.

Fanno eccezione, se ci pensate quelle e quelli di Roma e Milano, dove la città capoluogo prevale come idea demografica sulla provincia relativa e di fatti hanno costruito le città metropolitane. Difficile però che un abitante della città metropolitana di Bologna, che risiede a Vergato, 40 minuti di semafori e curve sulla Porrettana verso Firenze, si definisca un “metropolitano bolognese”, dice sono di Vergato, anzi se è di una frazione dice sono di Molinello, popolazione -vedo- 68 abitanti, sessantotto, o Cà Dorello 47. Magari fra 25 anni non sarà più così ma adesso sì. Noi italiani siamo un Paese di “metropoli della mente” e “borghi del cuore”, siamo una nazione di comuni e frazioni, di province e valli dove le regioni hanno assunto un ruolo ovviamente decisivo di pianificazione, governo e gestione, ma dove il senso di appartenenza popolare, morale, sociale, culturale e antropologico non rispetta i confini amministrativi. E’ naturalmente è così. Non ci si può far niente. Se uno si sente di Bancole non è di Sant’Antonio, San Martino è attaccato a Bozzolo, ma “quelli di Bozzolo” sono altra cosa. Per non parlare tra quelli di Cesole e Casatico, sempre comune di Marcaria, ma vuoi mettere quelli di Cesole son vicini a Borgoforte e a Casatico, viva Baldassarre Castiglione, sono quasi bresciani. Citando le sue vacanze estive a Bibione il maestro Renzo Dall’Ara diceva che aveva incontrato dei veneti sul posto che facevano la differenza tra la residenza di chi stava “di qua o di là del Brenta”. Non frammentazioni e spaccature ma varietà di ricchezze e di propensioni, di costumi e di umanità. Governare la varietà nella diversità è la sfida, ad ogni livello, comunale e internazionale. Se ci pensate diventa complicato spesso governare un’ assemblea di condominio, immaginarsi un paese o una regione. In Italia siamo messi più o meno così: 25 milioni di abitanti nelle città metropolitane e gli altri 35 milioni, arrotondamento ovvio, stanno in provincia o nelle città di provincia che non sono città metropolitane. Siamo un po’ tutti di provincia, anche Gesù è nato in un paesino. Anche Lui viene dalla provincia. Radici, emozioni delle radici. Forse anche Gesù si emozionava quando ricordava la casa semplice di Nazareth e le giornate passate ad aiutare mamma e papà. Chissà come provava emozioni Dante quando errante ricordava la sua Firenze in cui non poteva tornare. Riscoprire Volta Mantovana e via Roma in città, vedere con nuovi colori la facciata di Sant’Andrea e fare i confronti della nuova Millenaria di Gonzaga con la vecchia Millenaria ai tempi di Gilberto Boschesi e Anna Maria Fringuellini. Il fascino emozionante della provincia che diventa capitale e che a volte preferisce fare la bella addormentata. A tratti. Emozioni da ricordi familiari come il bucato del lunedì nella casa grande dei nonni a San Prospero, e quel viaggio della salute in riva al Po. Diceva, con giubilo, l’indimenticato collega Renzo Dall’Ara che “siamo un po’ tutti di provincia”. Guarda caso, aggiungeva con un pizzico di compiacimento catechistico, “anche Gesù è nato in un paesino”. Mica nella città metropolitana di Gerusalemme, come diremmo adesso, ma nella periferia della periferia, a dieci chilometri interminabili per i trasporti di allora, in un villaggio chiamato Betlemme dove si calcola abitassero o gravitassero 200 o 300 persone. E si calcola che a Nazareth gli abitanti ai tempi di Gesù fossero sui 500, uno dei tanti paesini nostri. L’immagine demografico-spirituale ci serve per cercare di capire come mai un po’ tutti noi, nonostante i ribaltamenti amministrativi e nominali, ci sentiamo appartenenti quasi naturalmente ad una provincia e un po’ meno ad una regione o ad una eventuale futura macro-regione, composta dalla somma di singole realtà territoriali magari a varianza estrema. Ci si spiega così la ragione per cui, anche nella discussione delle manovre economiche ogni volta, fior di deputati e senatori presentino emendamenti e provvedimenti per fare un certo ponte su una certa strada o sostenere una sagra in un certo paesino: perché siamo fatti di provincia e campanili. E non è detto che sia un peccato. Magari occorre armonizzare e integrare Squarzanella e Castelbelforte, mettere in rete Lastra a Signa e Bagno a Ripoli, ma di identità si vive e di riconoscimento ci si nutre. L’unica soluzione moderna è prenderne atto
Fabrizio Binacchi