Serviranno spettacoli che coinvolgano emotivamente

MANTOVA – La voglia di riprendere l’attività c’è in tutti i settori. In che modo e con quale risposta da parte dei cittadini resta tutto da vedere.
A parlare degli obiettivi futuri in campo teatrale è Raffaele Latagliata, attore e regista, direttore artistico di Mantova Teatro per Fondazione Artoili e di Ars Creazione e Spettacolo, che comprende, come molte altre realtà mantovane, anche la scuola di recitazione oltre alla stagione annuale da organizzare.
Raffaele ha interrotto il suo lavoro a Roma, alla chiusura dei teatri, ed è tornato a Mantova appena in tempo per trascorrere il periodo di clausura forzata vicino ai familiari.
Anche il teatro continua a testimoniare la propria forza via web, mezzo utile ma che difficilmente può sostituire il lavoro dell’attore, a contatto con il pubblico.
«A livello di scuola di recitazione, come Ars, prepariamo pillole di lezioni per proseguire almeno una parte della didattica on line. Poi gli alunni possono mandarci video con le loro performance e io o uno degli altri altri insegnanti può dare loro suggerimenti per eseguirle al meglio. E’ un tentativo anche di mantenere un legame e vicinanza.
Per quanto riguarda le proposte di spezzoni teatrali o di pièce su web o in tv, pur ritenendole apprezzabili come testimonianza, tali operazioni non mi convincono molto. Dal vivo tutto è diverso.»
E da qui nasce il problema di come far ripartire il comparto, perché il lavoro non riguarda solo gli attori in scena.
«In generale, dietro ad ogni mansione ci sono lavoratori, che in questo momento restano bloccati. Pensare il teatro come non necessario e fanalino di coda delle attività rappresenta un problema. Credo che vada tutto ripensato, proprio per la dinamica dello spettacolo. Le proposte fino ad ora avanzate non sono applicabili: pensare di occupare una poltrona su tre non è supportabile a livello economico. E come si tutela tutto il personale che lavora a una performance? E in scena si portano solo monologhi per non creare assembramento? È un discorso complesso.
C’è anche un altro aspetto importante di cui tenere conto, che è quallo psciologico: chi si sentirà così sereno da venire a teatro, se non ci sarà ancora un vaccino attivato che garantisca totale sicurezza? E’ difficile pensare a questa situazione a lungo termine, alle persone in casa per così tanto tempo. La variabile è cosa accada nel frattempo.»
Le stagioni teatrali che segui si stanno almeno organizzando o è tutto fermo?
«Il cartellone di Fondazione Artioli sarebbe praticamente pronto, con spettacoli e date. Ora che le tempistiche si sono prolungate bisognerà però stabile quanto si potrà portare in scena. Per quanto concerne Ars, la situazione è più fluida. Come realtà ci siamo reinventati più volte, lo faremo di nuovo. Bisogna però valutare come procedere con i corsi di recitazione, che seguono i tempi della scuola dell’obbligo.
E poi quali saranno le reazioni della famiglie, che valuteranno le priorità.»
Concretamente cosa cambierà?
«Auspico che arrivino progetti per andare incontro alle attività teatrali, che sono solo in parte imprenditoriali, avendo finalità culturali e sociali, lo sviluppo della forma aggregativa vissuta come scambio tra persone. Anche in tal caso una missione da ricostruire.
A livello di spettacoli e proposte sarà necessario presentare qualcosa che appaghi e coinvolga il pubblico emotivamente, non è tempo per lavori autoreferenziali. Mi piace pensare che questa situazione serva almeno per fare un bilancio, prendere coscienza e se necessario mutare atteggiamento.»
E quale potrebbe essere il ruolo della politica in tutto ciò?
«Ci sarebbe bisogno di chiarezza. In un frangente come questo la scala dei valori dovrebbe cambiare, per impegnarsi a raggiungere un obiettivo comune. Se non si impara neppure questo, vedo la situazione davvero complicata.»