Suscitava in tutti noi un grande rispetto. Talora anche un po’ di riverito timore. Quando entrava in redazione ci sentivano di alzarci tutti in piedi, un po’ come a scuola ai tempi del preside Giovanni Poltronieri, e un po’ perché non potevi certo salutare un come Piero Ottone da seduto. Piero Ottone, proprio lui, il grande giornalista già inviato, corrispondente e direttore del Corriere della Sera veniva a Mantova in redazione nella fatidica e mitica sede di Via Fratelli Bandiera 32 per aiutarci a cambiare il giornale da nove colonne, caldo caldissimo piombo al formato moderno tabloid, fredda o meglio tiepida fotocomposizione. Dico tiepida perché le strisce di carta plasticata che uscivano dalle stampanti per incollarle sui grandi menabò erano tiepide, poi diventava una composizione a freddo sui tavoli luminosi su cui operavano i Bottani, i Lipreri, i Sassi e via elencando. Proprio lui, Piero Ottone veniva a farci lezione nelle stanze dello studio di direzione amministrativa,che erano in via Marangoni 1 barra E. Praticamente a un passo da piazza Cavallotti che era un po’ come stare in centro. Bandiera, Marangoni, Arrivabene, Sociale: il quadrilatero magico. Cordiale e con l’immancabile sorriso, vestito sempre di grigio preferibilmente scuro, Piero Ottone suscitava grande rispetto per il racconto di contenuti -e che contenuti!- e per dimostrazione di stile: tono sempre pacato, un eloquio piano e intenso, la erre amabilmente sottile, le citazioni in inglese. Lui, che aveva diretto il primo quotidiano d’Italia in anni caldi e tempestosi, spiegava con grande passione a noi giornalisti di provincia -e che provincia!- gli ingredienti salienti del racconto di un giornale locale e cioè non dare per scontato nulla, essere precisi in tutto perché il giornale di prossimità non può permettersi superficialità. E faceva l’esempio dell’incidente stradale, un classico dell’informazione locale. Raccomandava: “Dovete prendere nota correttamente e con precisione del tipo del veicolo e anche del colore perché i lettori il giorno dopo non possano dire che era un diverso modello e un altro colore”. Perché nelle città e nel paese il lettore è probabilmente stato anche testimone. E a proposito di stile ricordo che Piero Ottone ci fece, in quelle stanze austere di via Marangoni 1/E, dove arrivavano, anche a finestre chiuse i rumori del traffico e delle voci di piazza Cavallotti, una lezione di stile dell’abito del giornalista. Che dovrebbe scegliere colori per l’abito sul blu scuro o sul grigio, come portava lui, e non abiti sul marrone o peggio ancora di colore chiaro.
Capivamo che eravamo a contatto e di fronte a monumenti del giornalismo italiano e internazionale. Una vita in prima linea e protagonista degli snodi principali della storia del giornalismo italiano. Come ha ricordato la Repubblica annunciando la scomparsa il 17 aprile 2017 Piero Ottone fu artefice e guida di una fase di svolta del Corriere e poi del giornalismo come consulente Mondadori con il presidente Formenton. Era nato a Genova nel 1924 e cominciò presto a frequentare i giornali prima il Corriere Ligure, poi nel 1945 la Gazzetta del Popolo diretta da Massimo Caputo. Il suo vero cognome era Mignanego, gli avevano detto che suonava meglio quello della mamma e quindi fu Piero Ottone. Fu corrispondente da Londra, poi da Mosca per il Corriere, di cui divenne capo redattore, poi nel 1948 direttore del Secolo XIX, giornale di Genova e della Liguria, per diventare quattro anni dopo -chiamato da Giulia Maria Crespi- direttore del Corriere della Sera. Come direbbe Alessandra Costante ligure verace segretaria attuale della FNSI, è la grande fucina ligure e genovese del giornalismo.
Ottone non era il solo. Veniva anche Giampaolo Pansa all’epoca vicedirettore del quotidiano la Repubblica, primo retroscenista del giornalismo italiano e grande scrutatore dell’evoluzione politica tra prima e seconda Repubblica. E arrivava anche il grande Gaetano Tumiati, da Ferrara, per noi “sua altezza”, per la statura fisica e per la grande biografia professionale e non solo. Ne ne aveva tante di ragioni per essere considerato sua altezza e con noi si immergeva in un confronto di grande amicizia e pedagogia del giornalismo di provincia, lui che già a vent’anni scriveva per Oggi, di Arrigo Benedetti e Mario Pannunzio, lui che fu il primo giornalista occidentale raccontare la Cina di Mao, lui che vinse il Premio Campiello 1976 con “Il busto di gesso”. Che scuola! Che scuola a Mantova a due passi dal Sociale.
Gli incontri di “scuola”, in via Marangoni1/E, erano il nostro master. Sentivamo di essere in uno snodo della storia della città e del giornalismo. Anche adesso quando passo lì davanti mi sembra di sentire voci e vedere facce. Scherzi della memoria selettiva. E ricordo come caposaldo della memoria quest’indirizzo Marangoni 1/E dove c’erano gli uffici del direttore amministrativo del giornale il dottor Gastone Negrini, poi per gli amici anche semplicemente Gasto. Quelle volte erano volte magiche e storiche perché si vivevano gli incontri di formazione -era l’inverno 1980-1981- per arrivare al nuovo giornale che generava altri due giornali per Modena e Reggio nell’Emilia. Studio e fermento, analisi e discussioni. Stavamo per lasciare le paginate a ove colonne dove si misurava la lunghezza degli articoli con la corda dei pacchi per passare ai moduli in cui anche due battute facevano la differenza e dove tutto diventava tecnologico e moderno. Mica poco, come uso dire. Gaetano Tumiati ci faceva grandi lezioni di storia del giornalismo, Giampaolo Pansa ci raccontava fatti e retroscena che ci facevano restare a bocca aperta. Una sera ebbi l’onore di stare a cena con lui in un ristorante di piazza delle Erbe e scoprii la sua passione, condivisa peraltro, per le tagliatelle. “Niente secondo, continuo con un altro piatto di tagliatelle, sono talmente buone!”. Al di là delle lezioni per noi erano conoscenze dirette e a tu per tu con i nomi di un giornalismo che leggevamo solo sulle pagine del grandi quotidiani nazionali o vedevamo in televisione. E avevano un grande rispetto per la tradizione del giornale di provincia, come deposito e garanzia di un giornalismo pensato e fatto nel nome del servizio pubblico, vicino alla gente, di assoluta e precipua prossimità. E su “precipua” mamma avrà qualcosa da dire. Erano i mesi -tra l’autunno 1980 e la primavera 1981- in cui con Rino Bulbarelli si andava in giro per presentare il nuovo formato e le nove iniziative editoriali che uscivano dal matrimonio tra Citem e Mondadori e che avrebbero comportato la costruzione di una società a Mantova che andava a fare giornali anche nella vicina Emilia. Come quella sera al Rotary di Mantova dove erano ospiti anche l’allora presidente della Mondadori Mario Formenton e l’allora presidente della Federazione italiana editori giornali Fieg Giovanni Giovannini, presidente del Club il conte Lodovico Castiglioni.
Quarantacinque anni e di acqua ne è passata sotto i ponti, allora ci sembrava quasi intelligenza artificiale avere i grandi schermi a forma di televisore, con i cursori verdi che lampeggiavano tipo videogiochi, e adesso l’ultima generazione di intelligenza artificiale può, in parecchi casi e in varie mansioni, sostituire molti di noi, in svariate funzioni. Vedremo.






































