“Effetto Palazzi”, tutti i partiti in briciole

MANTOVA Lui non ne ha diretta responsabilità, s’intende, ma è un dato di fatto che da quando  Mattia Palazzi si è lanciato per candidarsi a sindaco di Mantova nelle amministrative del 2015 nessun partito, compreso il suo, è rimasto lo stesso. Suo malgrado il primo cittadino può a pieno titolo prestare il proprio nome a un metaforico “effetto Palazzi”. Già i prodromi si erano avuti con le primarie chieste e ottenute nel Pd, quando ben quattro contendenti si schierarono per la nomination verso via Roma: oltre a Palazzi concorsero  Giovanni Pasetti,  Nicola Martinelli e  Fiorenza Brioni. E tolta quest’ultima, gli altri rientrarono nei ranghi del vincitore, divenendo, il primo, capogruppo nell’emiciclo e quindi segretario cittadino; assessore di riferimento, il secondo alle opere pubbliche.
Ma ancora in fase elettiva, toccò a Palazzi il compito di pescare voti fuori dal partito ideando la civica “Palazzi 2015” che, a detta dell’on.  Marco Carra, non solo pescò fuori, ma molto e soprattutto all’interno del partito, tanto da – parole dell’ex deputato – “cannibalizzare il Pd”.
A giochi fatti, toccò poi alla civica rivale capeggiata da  Paola Bulbarelli demolire le fondamenta della prima forza d’opposizione, la civia “Bulbarelli è Mantova”, che di fatto si è sciolta lasciando nel gruppo misto  Roberto Irpo, e con  Catia Badalucco e un “imbarcato” ex leghista ex civico  Luca de Marchi ha dato vita al gruppo consiliare dei Fratelli d’Italia, nemmeno presenti al voto amministrativo.
Nemmeno sul fronte della sinistra antagonista tutto è filato liscio.  Alberto Grandi, zaniboniano eletto per Comunità e territori, lascia l’opposizione e passa in maggioranza; un’acquisizione che di fatto fa terna con quella di  Arnaldo De Pietri, designato responsabile alle relazioni esterne, e di  Andrea Gardini, collocato nel Cda dell’Apam, dopo che entrambi avevano corso alle elezioni con due civiche alternative a Mattia.
Nemmeno la Lega ha passato indenne il quinquennio palazziano, accusando da subito lo scontro fra  Alessandra Cappellari e  Massimo Zera; quest’ultimo oggi in predicato per aderire a qualche civica esterna al carroccio.
Viene la volta poi del M5S, il cui capogruppo  Michele Annaloro, già in pista per ricandidarsi, è entrato in rotta di collisione con il movimento sino a uscirne sbattendo la porta e riparando nel gruppo misto. Il suo collega  Tommaso Tonelli, resta per ora al suo posto, nella ventilata convinzione di non ricandidarsi però sotto le insegne grilline.
Mancava solo Forza Italia a completare il quadro. Lo scollamento prodotto in più circostanze dalle posizioni “anarchiche” di  Giuliano Longfils non avevano in ogni caso motivato ipotesi di fratture, così pure come alcuni allunghi in solitaria di  Andrea Gorgati durante alcune votazioni particolari. Ieri però la sorpresa: anche Gorgati lascia la bandiera berlusconiana, pur rimanendo per coerenza sui banchi azzurri sino a fine mandato. Nei fatti, l’unico vero titolato forzista ancora al proprio posto rimane  Pier Luigi Baschieri.