Grimilde, i giudici: “Roncaia e Scotti non vittime ma complici”

MANTOVA –  «Risulta comprovato oltre ogni ragionevole dubbio che Salvatore Grande Aracri faceva parte della cosca, nella quale acquisì, soprattutto dopo l’arresto di Alfonso Diletto nell’operazione “Aemilia”, un ruolo apicale, a partire dal 2015». A sancirlo i giudici della Corte d’Appello di Bologna nelle motivazioni della sentenza di secondo grado del processo di ‘ndrangheta “Grimilde”, con rito abbreviato: il 42enne residente a Brescello, nipote del boss di Cutro Nicolino Grande Aracri, è infatti stato condannato lo scorso giugno per associazione mafiosa a 14 anni e mezzo (a fronte dei 20 anni comminatigli in primo grado). A sostegno di tale ricostruzione accusatoria, la Corte elenca molteplici elementi. Innanzitutto «la gestione occulta di società intrinsecamente mafiose come C-projet, Matilda e Monreale», ovvero quelle collegate alle discoteche Italghisa e Los Angeles. Locali rappresentanti «il bastione di potenza della cosca, finanziati con denaro della consorteria in un contesto che vedeva Salvatore in posizione sovraordinata». A tal proposito viene citato un episodio considerato di rilievo risalente al 2008, vale a dire la trasferta fatta da Salvatore a Cutro, mentre gli zii Nicolino ed Ernesto Grande Aracri erano detenuti, dopo l’incendio dei mezzi di Antonio Colacino: «Questo fatto evidenzia come Salvatore già allora fosse a tutti gli effetti un membro del sodalizio». Poi si cita la ricerca, durante la guerra di ‘ndrangheta, delle macchine blindate per Ernesto Grande Aracri, nel 2004: undici anni dopo, passando davanti alla concessionaria utilizzata per tale ricerca, Salvatore ricordò «il servizio delle auto blindate». Infine nell’affare della riseria Roncaia di Castelbelforte, azienda in difficoltà finita nelle mani della cosca, Salvatore «non è più solo sodale, ma membro apicale». In merito a tale ultima circostanza nelle motivazioni si spiega altresì perché la Corte abbia dato una lettura diversa da quella ipotizzata dall’accusa sul ruolo di tre persone. Secondo la Dda, i fratelli Riccardo e Claudio Roncaia, oltre a Massimo Scotti di Pavia erano parti offese. Ma il tribunale, restituendo gli atti alla Procura, ha al contrario sostenuto come per loro si possa ravvisare il “concorso esterno” al sodalizio: «Di tale progetto la Corte ritiene che i Roncaia e Scotti non fossero le vittime, ma possano configurarsi come complici, poiché i vantaggi che conseguivano erano frutto di una consapevole e volontaria adesione».