In sette a processo per la patente del boss

tribunale di mantova

MANTOVA – Il prossimo 12 maggio saranno chiamati a difendersi davanti al giudice di via Poma dalle accuse di falso in certificati pubblici, sostituzione di persona e falso ideologico. Alla sbarra sette persone rinviate a giudizio l’altro ieri dal giudice per le indagini preliminari di Brescia, ma in tribunale a Mantova per competenza territoriale, quale stralcio della maxi inchiesta “Leonessa”, con cui nel settembre del 2019 si era arrivati a scoprire legami tra imprenditori e criminalità organizzata nel bresciano e in altre province del nord. Tra gli imputati figura anche un carabiniere in servizio a Desenzano del Garda. Ma sia per lui che per gli altri sei è caduta l’accusa di corruzione con aggravante mafiosa in quanto il fatto non sussiste. Nella fattispecie i capi d’imputazione contestati a carico dei sette – il militare dell’Arma, due addette di un’agenzia di pratiche di auto, un medico di Mantova e altri tre soggetti – sono relativi al fatto di aver incassato in territorio virgiliano 15mila euro da Rosario Marchese, esponente di una famiglia mafiosa di Gela al nord – a sua volta già finito a processo a Mantova nell’ambito dell’inchiesta Cash Flow, circa una serie di truffe perpetrata al fine di evadere il fisco – per consentirgli di prendere la patente. Titolo di guida questo che gli era stato revocato a seguito dell’emissione di un provvedimento di sorveglianza. La maxi operazione condotta dalla Guardia di Finanza e dalla Polizia di Stato denominata per l’appunto “Leonessa” aveva portato ad una settantina di arresti e sequestri per 35 milioni di euro. Ad accertare l’operatività di una cosca mafiosa di matrice stiddara, con quartier generale a Brescia, che aveva pesantemente inquinato diversi settori economici attraverso la commercializzazione di crediti d’imposta fittizi per decine di milioni di euro, era stata la Direzione Distrettuale Antimafia di Brescia. Tra gli arrestati figurava anche un 35enne mantovano.