Solo il coraggio di essere Falcone. Roberto Saviano racconta l’uomo oltre l’eroe

MANTOVA Tutti noi sappiamo chi era Giovanni Falcone. Magistrato, simbolo della lotta alla mafia, ricordato anche per quel famoso “Follow the money”, tragicamente scomparso, pardon, ucciso da Cosa Nostra nell’attentato di Capaci, dove fu fatto esplodere un tratto di autostrada e in cui, oltre a lui, persero la vita la moglie Francesca Morvillo e tre agenti della sua scorta. Sì, sappiamo tutti chi era Giovanni Falcone. Forse. O forse no, almeno non così bene come credevamo. Certo, conosciamo il personaggio, l’icona nelle memorabili foto assieme al collega e amico Paolo Borsellino, ma la verità è che sostanzialmente crediamo di sapere. Dell’uomo in verità, non sappiamo nulla.
E allora, forse, la narrazione che ne ha fatto ieri Roberto Saviano in una Piazza Castello piena in ogni ordine di posto si è rivelata concretamente necessaria. Si è parlato di mafia, sì, per forza viste le circostanze, ma anche di quanto la figura di Giovanni Falcone sia davvero importante per il nostro Paese. Prima dell’intervento dell’autore di “Solo il coraggio”, c’è stata l’introduzione di Andrea Filippi che, per i tempi abbastanza dilatati, ha fatto rumoreggiare il pubblico presente. «Arrivo, arrivo» ha detto Saviano. Nell’arco di pochi secondi, poi, l’autore campano è arrivato davvero, colto da un’ovazione. Però, Filippi, nel suo intervento ha citato una frase importante di Falcone, seppure tragica: «Non si mettono al mondo orfani», riferita a sé stesso e alla moglie e al desiderio di genitorialità. Quasi come se ci fosse il presagio di un destino che, trent’anni fa, si è poi concretizzato in un’esplosione. Eppure Falcone era altro. «Sentiamo una parte di noi stessi così ancorata alle vite di persone come Falcone. Cercare di capire cosa ci connette così tanto non è semplice, ma intuitivo. È il desiderio che da qualche parte ci sia la possibilità di trasformare il nostro Paese» esordisce Saviano. Falcone, un grande sconfitto: così lo ha definito, raccontando tutte le bocciature ricevute dal magistrato, dal Csm in giù. « Non sentirete mai le sue bocciature durante le commemorazioni, vale la pena ricordare ciò che ha dovuto passare. Però Falcone era un uomo allegro, non aveva la vocazione al martirio, non voleva vivere blindato o di sacrifici, eppure quella era la sua vita. Amava nuotare, andare alle feste». Quell’animo gioviale spento, o forse mutato, dalla morte del “maestro” Rocco Chinnici. A Falcone si deve la scoperta di Cosa Nostra: «Prima di lui questo termine era sconosciuto, si usava “mafia”, un termine che non esiste nel gergo degli affiliati. È stato Tommaso Buscetta a confidarglielo, ha scelto Falcone perché aveva l’intelligenza di capire, di andare nel profondo».
Il Falcone descritto è l’uomo che ha cambiato la Storia, senza il quale non ci sarebbe stato il Maxiprocesso e senza il Maxiprocesso oggi noi non parleremmo di mafia; ma il Giovanni secondo Saviano era un uomo che credeva nella bellezza, quella per la quale si vuole e si può cambiare un Paese, anche quando il mondo ti volta le spalle, anche quando muori. Perché per quell’idea, per quella bellezza, per quella vita, ne vale la pena.
Federico Bonati