MANTOVA La voce di Deborah Levy autrice della trilogia Autobiografia in movimento (NN Editore) ricorda per toni e ritmi l’elemento acquatico che contraddistingue la sua scrittura; dimensione che emerge più vivamente nei passaggi di più schietta memoria e recupero del passato.
Del resto proprio il movimento delle maree è l’immagine a cui ricorre la traduttrice e romanziera Claudia Durastanti durante l’evento Soggetto, donna, scrittrice. Sotto la volta di Palazzo San Sebastiano le due autrici indagano, con l’interpretazione simultanea di Sonia Folin, i caratteri di unicità dei personaggi femminili di Levy, la costruzione narrativa dei suoi memoirs, l’articolazione ondulatoria del tempo e del ricordo, le implicazioni di raccontare il viaggio esistenziale di una donna e di raccontarla protagonista, con tutti gli interrogativi di una storia che è un cercare e sperimentare e muoversi e cambiare.
Dialogando sui tratti distintivi di un tipico personaggio femminile, Levy si sofferma sulle tradizionali dicotomie silenzio/rumore, forte/fragile, dolce/aggressivo, opponendo le sue protagoniste come figure che sono ‘tutto, tutte le cose insieme’, alle quali consente di esplorare incarnare e modificare in libertà interi coacervi di tratti caratteriali e di sfaccettature.
Levy si scontra con i vincoli e i condizionamenti dell’essere donna in una società a misura di uomo e a essi risponde con la scrittura, inventando personaggi femminili che attraverso la loro complessità tendono a una verosimile umanità.
La vergogna è un altro dei nodi narrativi che Levy e Durastanti intaccano per arrivare a una riflessione più ampia sui ruoli e gli stereotipi di genere: l’imbarazzo non è quasi mai un sentimento connaturato, ma un’ulteriore condizione ereditata dal dominio patriarcale, che da esterno si impone anche sugli spazi interiori. ‘La paura causa la difficoltà di pensare e di parlare’, dice Levy, e la sua reazione è quella allora di trovare una voce narrativa che spazzi via la vergogna e la paura e spinga i suoi personaggi donna a provare e vincere questi condizionamenti. La ricerca e la fiducia in una voce che sia proprio la propria è la migliore risposta a qualsiasi oppressione: e la voce narrante diventa per Levy una doppia rivendicazione, di sé e dei suoi personaggi, che abbandonano l’autocritica e soffocano paura, ruoli e sentimenti non loro lanciandosi nel mondo e sperimentando io ancora in divenire; ed è così che si riconquistano il diritto a essere proprio ‘tutto, tutte le cose’.