Uccise il marito che la maltrattava. La Cassazione conferma: 18 anni a Elena Scaini

MANTOVA  Rigettato il ricorso difensivo presentato avverso la sentenza d’appello con contestuale conferma dei 18 anni di reclusione per omicidio volontario comminati in secondo grado. Questo quanto deciso dalla Corte di Cassazione nei confronti di Elena Scaini, 57 anni, condannata quindi in via definitiva per l’assassinio del marito Stefano Giaron, ammazzato a colpi di lama il 6 ottobre 2020 nell’appartamento di via Mozart che la coppia condivideva con l’anziana madre della vittima, Lina Graziati.
Un verdetto dunque, quello degli “ermellini”, sostanzialmente in linea con quanto avanzato dalla procura generale stante la richiesta di inammissibilità dell’impugnazione. Esattamente un anno fa la Corte d’Assise d’Appello di Brescia, riconoscendo la prevalenza delle attenuanti generiche per il solo capo dell’omicidio volontario – aggravato comunque dal rapporto di coniugio ma non dalla premeditazione, aveva quindi parzialmente riformato il verdetto emesso in primo grado a Mantova, riconoscendole uno sconto di pena di tre anni rispetto ai 21 disposti inizialmente. Inoltre era stata altresì confermata l’assoluzione per non aver commesso il fatto, così come statuito a suo tempo dai giudici della Corte d’Assise di via Poma, in merito la seconda imputazione a lei ascritta e relativa le lesioni perpetrate ai danni della suocera, a sua volta ritrovata dai soccorritori tre giorni dopo l’uccisione del figlio all’interno di quella stessa abitazione, con numerose ferite da taglio nonché ancora in stato confusionale.
Proprio circa quest’ulteriore contestazione si erano incentrate in giudizio le analisi scientifiche circa l’eventuale compatibilità del coltello da cucina, presunta arma del delitto, ritrovato un anno dopo il fatto di sangue e in via presuntiva utilizzato dalla 57enne per colpire a morte il coniuge, e le lesioni riscontrate sulle due parti offese. Per questo motivo, i difensori della donna, gli avvocati Silvia Salvato e Andrea Pongiluppi, avevano chiesto la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale. Dai riscontri peritali erano state infatti isolate tracce biologiche, rinvenute su lama e impugnatura, riconducibili in prevalenza ai profili genetici dell’imputata e della propria suocera ottantenne, nonché in parte più residuale al 51enne Stefano Giaron. Una commistione di Dna ritenuta però non sufficiente per corroborare oltre ogni ragionevole dubbio, la tesi inquirente della piena responsabilità dell’accusata anche in merito alle lesioni occorse alla suocera. Stando alla ricostruzione investigativa Elena Scaini aveva colpito a morte il marito all’esito dell’ennesima violenta lite scoppiata tra i due in ambito domestico. La 57enne era poi fuggita a bordo di un furgone lasciando l’anziana suocera sola in casa, ignara che il figlio fosse deceduto. Due giorni dopo in una struttura ricettiva a Zocca di Modena, sull’Appennino, la Scaini aveva tentato il suicidio. Una volta soccorsa aveva raccontato quanto in precedenza successo, confessando di avere ammazzato il marito per difendersi dall’ennesima aggressione da lui perpetrata nei suoi confronti.