Subsonica stellari, forse un po’ troppo

MANTOVA In platea il pubblico balla, sulle gradinate pure e chi se ne sta seduto non fa che salutare con degli ooohh di stupore i continui cambi di scenografia. Dal Palco è Samuel, cantante dei Subsonica a chiedere se quello che si vede e si sente piace. Lo chiede per tutto il concerto e il pubblico del Palaunical risponde di sì, e se c’è qualche nì quello si perde tra i suoni e i giochi di luce. Il tour di Realtà Aumentata partito ieri a Mantova è a dir poco spettacolare. Merito del gran lavoro di produzione: il palco è qualcosa di avveniristico a queste latitudini: ciascuno dei cinque Subsonica sono una una loro piattaforma personale che si alza e si abbassa a volte con le altre a volte da sola. Ci sono tre schermi che fanno da quinta ad aumentare la profondità del palco e che spesso proiettano le immagini sulla band. Curatissimo il suono, “sembra di sentire” il disco commenta una ragazzina entusiasta. Un rave dell’era digitale, la vecchia e cara jungle (o drum’n’bass) portata fuori dagli anni 90 dritta negli anni 20 del terzo millennio con Ensi e Willy Peyote special guest in una manciata di brani. “Vi piace questo spettacolo” continua a chiedere Samuel. Sìììì, ma anche Nìììì perché in tutto questo tourbillon di luci, schermi, effetti speciali e suoni ben calibrati si finisce per perdere l’essenza di un concerto dal vivo. Per lunghi tratti dello spettacolo la band diventa invisibile, le sagome dei 5 musicisti sul palco scompaiono dietro gli schermi e viene quasi il dubbio che quello che si sta vedendo e soprattutto ascoltando, non stia avvenendo in quel momento, e non è un caso che i Subsonica abbiano deciso di fare un’anteprima per il pubblico, un sound-check aperto per fare capire che loro su quel palco ci sono davvero.

Un espediente che sembra un’ammissione del limite di questa realtà aumentata per la quale la mega-produzione ha finito per mettere in scena un concerto da Youtuber che non riesce mai a bucare lo schermo.

Carlo Doda