Amin Maalouf: “Un Paese che perde il proprio popolo è un Paese sconfitto”

MANTOVA Amin Maalouf e Donald Sasson, uno nato al Cairo e l’altro a Beirut, due territori un tempo facenti parte dell’Impero Ottomano, sono finiti uno in Inghilterra e l’altro in Francia a scrivere in lingue diverse, non riuscendo tuttavia a sentirsi a casa loro in una nazione; la casa l’hanno trovata nell’internazionalità. Alla ricerca delle origini, Amin prende per mano i presenti in un viaggio che inizia nell’Egitto degli anni ‘30, allora il fulcro del mondo (è la terra che ha dato i natali ad Ungaretti e Martinetti, che ha ispirato opere di Verdi,  ndr), un centro cosmopolita. Poi cosa è successo ad un paese che parlava diverse lingue, che conosceva infinite culture? Con la crisi del canale di Suez e la dipartita dei coloni, si pensava ad una vittoria, invece fu l’inizio del declino di quello che fino ad allora era stato il protagonista del mondo arabo. Si è iniziato a fare ciò che vediamo anche noi oggi: ad escludere le minoranze e a fare espatriare la propria gente. Perché un paese che perde il proprio popolo, perde in partenza, si impoverisce; trae vantaggio invece chi riceve, chi accoglie. «Credo nella ricerca dell’individualismo – afferma Maalouf – perché il mito della forza nella omogeneità di un paese è pericoloso. Abbiamo bisogno che tutti restino nel proprio paese, ognuno con il proprio ruolo, come ci ha insegnato, pagando però a caro prezzo, Nelson Mandela». Insomma, per mantenere i rapporti e i contatti con il resto del mondo ci vuole generosità e abilità. Ma oggi come oggi chi tenta di risolvere conflitti, in particolare nei paesi arabi, in modo pacifico, viene emarginato e soppiantato da chi preferisce scontri agguerriti, che arrivano sì ad accordi ma con costi altissimi in termini di vite umane. Per un momento il viaggio prosegue lasciando il mondo dell’Egitto ed atterrando nel nostro Occidente. Se ci fermiamo a guardare i vari capi di stato attuali, ci si chiede come si fa ad essere caduti così in basso? Quali sono stati i momenti cruciali che ci hanno fatto cambiare rotta? Cosa si poteva evitare per non cadere nella triste situazione attuale? Un tentativo di risposta arriva ancora da Maalouf: «Serve una soluzione, ma senza disperazione, perché la disperazione non è una soluzione. La soluzione c’è sempre, ottimista o deprimente che sia. Oggi abbiamo la fortuna di avere a disposizione tutti i mezzi, tecnici e non, per risolvere i problemi». Alla base di tutto però lo scrittore tiene a sottolineare l’importanza cultura, fondamentale per farci uscire e pensare, trovare soluzioni, prima nella nostra testa, salvo poi applicarle. Non ci sono istruzioni per tutto, il progresso va avanti e noi dobbiamo stare aggiornati, confrontarci, trovare una propria identità. Trovare la capacità di vivere insieme, di mettere in discussione i valori umani. Pensiamo che mettere vicini due popoli con idee diverse sia sufficiente per unirli e farli vivere insieme; invece l’unione va fatta prima, senza dissidenza, trovando un modo creativo per unire tutte le componenti della società, costruendo elementi di pace e convivenza, sempre attraverso la cultura.
Medina Parmigiani