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MANTOVA È il balcone dal quale Donald Trump ha tenuto il suo primo discorso dopo il ricovero a causa del contagio da Coronavirus. Quello della Casa Bianca è, nel suo complesso, un edificio simbolo per gli Stati Uniti, set di un film straordinario come “The Butler”. “White House” si trova al 1600 di Pennsylvania Avenue a Washington, unita al Campidoglio dal National Mall, il viale sul quale si affacciano alcuni tra i più famosi musei statunitensi: National Gallery of Art, National Archives Building, Smithsonian Institution e il National Museum of Natural History.
Il terreno sul quale sorge la Casa Bianca è di circa 7,2 ettari. La storia dell’edificio risale al 1792 quando si è tenuta una gara pubblica per scegliere la residenza presidenziale nella nuova capitale del paese, Washington appunto. La costruzione della Casa Bianca è iniziata il 13 ottobre di duecento ventotto anni fa. I lavoratori, che erano schiavi, erano ospitati in rifugi temporanei costruiti appositamente a cui si aggiungono, un anno dopo, alcuni muratori esperti provenienti dalla Scozia. Nel 1800, a lavori ultimati, l’intera amministrazione federale si sposta così da Philadelphia a Washington. Solo il primo presidente degli Stati Uniti, infatti, George Washington e la sua amministrazione avevano occupato delle residenze tra New York e la città di Rocky dal 1789 al 1797. Da allora ogni presidente ha soggiornato nella Casa Bianca. All’inizio l’edificio veniva chiamato “Il Palazzo del Presidente”, The President’s Palace e più tardi “La Villa Esecutiva”, The Executive Mansion. Durante la presidenza di Theodore Roosevelt, dal 1901 al 1909, viene ufficialmente adottato il nome di “Casa Bianca”, colorazione che contrastava con gli edifici circostanti fatti invece di mattoni rossi. Disegnata su progetto dell’architetto James Hoban, l’opera è stata promossa con una legge del Congresso del 1790.
È facile risalire agli esempi che hanno portato alla realizzazione nel classico stile georgiano. Thomas Jefferson, il terzo presidente americano che aveva fatto e proposto dei disegni per un nuovo edificio, una struttura che doveva avere tre piani e più di 100 stanze, è colui che ha maggiormente contribuito a dare un volto alla nuova nazione attraverso l’arte, l’architettura e il disegno del territorio. È stato un visionario ma anche un pragmatico, un uomo d’azione e un intellettuale che conosceva il latino e il greco, convinto che il Nuovo Mondo si potesse costruire solo attraverso la razionalità e la bellezza. L’idea delle città degli Stati Uniti suddivise in quadrati regolari è sua, griglie di meridiani e paralleli ispirate agli antichi Romani.
Il grande punto di riferimento di Jefferson era Palladio perché aveva saputo tradurre la grande architettura romana antica per gli usi del mondo moderno e aveva creato “la villa”, la residenza dei gentiluomini – veneti, inglesi o americani – che curavano i propri interessi in campagna, crescendo sani nella natura e coltivando il proprio spirito con la lettura dei classici. Per la Casa Bianca avrebbe voluto una copia ingrandita della Rotonda di Vicenza e aveva chiamato la propria villa “Monticello” perché nei Quattro Libri aveva letto che sorgeva su “un monticello”. È stato lui a commissionare ad Antonio Canova dei bozzetti per la statua di George Washington. Per Jefferson, l’architettura poteva migliorare il mondo. Aveva iniziato a studiarla sui libri e poi dal vivo durante un lungo soggiorno in Europa come ambasciatore degli Stati Uniti a Parigi. Ha fatto costruire due ville per sé e molte altre per i propri amici su disegni propri. Con il progetto per il Campidoglio della città di Richmond ha stabilito le forme degli edifici del potere civile americano. Negli ultimi anni di vita, con la sede dell’Università della Virginia, ha creato il prototipo del “campus” universitario: un’architettura aperta con le aule in padiglioni isolati che si affacciano, insieme alle residenze degli studenti, su un prato verde coronato dalla monumentale biblioteca a forma di Pantheon.

Tiziana Pikler