MANTOVA Ergastolo, aggravato dalla sanzione accessoria dell’isolamento diurno per un periodo di 18 mesi. Questo quanto avanzato, ieri pomeriggio, dal pubblico ministero Giulio Tamburini nei confronti di Enrico Zenatti, il 55enne veronese finito alla sbarra per l’assassinio della suocera, la 73enne Anna Turina, uccisa nella propria abitazione il 9 dicembre 2021 a Malavicina di Roverbella.
Una richiesta circa la condanna al carcere a vita, giunta dopo oltre tre ore di requisitoria e constatasi, specificatamente, nella richiesta di derubricazione del capo d’accusa relativo al tentato omicidio, da riqualificarsi nella fattispecie disciplinata dall’articolo 583 quinquies del codice penale, vale a dire deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso, o in subordine circa il riconoscimento di lesioni personali con l’aggravante di essere state cagionate da armi.
In questo caso di specie il riferimento è circa la lesione di 37 centimetri di lunghezza rinvenuta al capo dell’anziana e che, secondo i riscontri medico-legali addotti all’istruttoria dal consulente tecnico dell’accusa, sarebbe stata perpetrata ai danni della vittima causa incisione da arma bianca al nervo vago, con conseguente ampio scollamento del cuoio capelluto dalla teca cranica tramite trazione dello stesso. Lesività grave sì, ma non però ritenuta incompatibile con la vita. Da qui quindi la richiesta di modifica del primo capo ascritto al presunto omicida. Fermo sempre restando, nel novero delle varie contestazioni, l’aggravante da ergastolo del cosiddetto nesso teleologico tra i due reati ritenuti in continuazione tra loro – con il secondo, relativo all’omicidio volontario prevalente sulla prima – oltre all’ulteriore aggravante da ergastolo della crudeltà, quest’ultima contestata a Zenatti dalla pubblica accusa nell’ultima seduta e confermata dai giudici della Corte. A sostegno della tesi inquirente dunque «una serie corposa di indizi, tutti vocati all’univocità nel confutare oltre ogni ragionevole dubbio la responsabilità delittuosa dell’imputato». Elementi probatori, quali telecamere, tabulati telefonici e segnale Gps della Fiat 500 in uso a Zenatti – ha spiegato Tamburini – che, attraverso la comparazione certosina dei diversi orari – fornita dai carabinieri del Nucleo investigativo di Mantova – si incastrano alla perfezione tra loro, dando così un quadro esaustivo di quanto occorso quel pomeriggio nella villetta di via largo Puccini». In sostanza, verosimilmente al culmine di una lite, Zenatti, risalendo le scale dopo essere stati insieme in cantina a prendere una bottiglia per farne un addobbo natalizio, avrebbe assalito la suocera da dietro, colpendola alla testa con un’arma bianca. Convinto quindi di averla ammazzata, stante la temporanea perdita di conoscenza della pensionata, l’avrebbe così lasciata in un lago di sangue sul pianerottolo tra le due rampe, abbandonando la scena del crimine e cercando infine di crearsi un alibi. Salvo poi, sempre secondo le accuse, ritornarvi dopo circa un’ora in quanto avvisato dalla moglie che la suocera, nel frattempo ripresasi, sarebbe rimasta ferita cadendo accidentalmente dalle scale a causa di un paventato improvviso malore.
Così, giunto nell’abitazione prima dell’arrivo del 118 e fatti allontanare i figli della vittima (il cognato Paolo invitato ad andare ad avvisare nuovamente i soccorsi perché “lì dentro il telefono non prendeva” e la coniuge sollecitata ad andare in bagno a prendere asciugamani per poter tamponare la ferita al capo dell’anziana, rimanendo di fatto solo con lei), finendo il “lavoro” infliggendole in una manciata di secondi sei profondi tagli interni (cosiddette codette) da lama sul collo.
Solo in seguito si sarebbe allontanato in auto per andare a chiudere il proprio negozio e nel frattempo sbarazzarsi dell’arma del delitto, un coltello dalla lama affilata e non seghettata facilmente occultabile, mai però ritrovata. «Tracce biologiche miste, del suo Dna e di quello della suocera – ha argomentato alla Corte il Pm – sono state però rinvenute dai Ris di Parma nel taschino interno del giubbotto di Zenatti, ove avrebbe nascosto l’arma prima prima di andare a gettarla».