Ragazzina stuprata al cimitero, chiesti dal Pm 6 anni e 8 mesi

(foto di repertorio)

MANTOVA Stando alla ricostruzione inquirente avrebbe accettato un passaggio in auto da un amico della sorella per tornare a casa. Ma lui, anziché riaccompagnarla a destinazione, avrebbe deviato il percorso, dirigendosi al contrario verso il cimitero del paese. Lì, fatta scendere dalla vettura, l’avrebbe quindi condotta verso i bagni del camposanto per poi stuprarla. Sul banco degli imputati, circa l’ipotesi di violenza sessuale, è così finito un 31enne operaio marocchino residente nel Destra Secchia. Segnatamente i fatti a lui ascritti risalirebbero alla fine del 2019 quando, a qualche giorno di distanza dall’ipotizzato episodio, la persona offesa, una ragazza all’epoca di 17 anni costituitasi parte civile con l’avvocato Viviana Torreggiani, si sarebbe fatta dapprima refertare in ospedale per poi presentare querela nei confronti del proprio stupratore. Una vicenda in ogni caso complicata, se non a tratti fumosa, dove le contestazioni, precise e circostanziate, cozzerebbero contro testimonianze confuse e sfuggenti, nonché orari e giorni sballati. Inoltre, a complicare ulteriormente il quadro, comparteciperebbe il rimpallo di accuse reciproche tra il presunto colpevole e il padre, quest’ul – timo finito a sua volta a processo per minaccia e tentata estorsione a fronte di una paventata somma di denaro offerta alla famiglia della giovane per ritirare la denuncia del figlio. Scenario questo, già confermato in aula da tutti e tre i protagonisti ma con significative varianti: per la parte lesa infatti entrambi si sarebbero presentati a casa sua per offrire soldi in cambio del silenzio, mentre padre e figlio si additerebbero vicendevolmente quale unico responsabile. Accuse invece di violenza sessuale respinte in toto dal 31enne, secondo quanto da lui dichiarato, quel giorno al contrario regolarmente al lavoro in un cartiere edile. Infine l’ultimo elemento contraddittorio con la ragazza che in sede di incidente probatorio aveva fatto riferimento ad una data precisa. Ma il custode del cimitero, oltre a non conoscere l’accusato, avrebbe invece sostenuto come quel giorno il cimitero fosse in realtà chiuso. Discrepanze che non hanno però impedito ieri al pubblico ministero Silvia Bertuzzi, di avanzare doppia richiesta di condanna: 6 anni e 8 mesi per l’imputato principale e 8 mesi per il padre. Istanze di pena suffragate anche dalla parte civile oltre ad una suppletiva richiesta risarcitoria di 30mila euro e a una provvisionale non inferiore ai 10mila. Sentenza il prossimo 10 aprile.