Colpì con un pugno la moglie incinta, 45enne condannato

MANTOVA – A far scattare le indagini del caso era stata, nello specifico, una segnalazione dei servizi sociali ai quali si era rivolta la stessa persona offesa, non costituitasi parte civile al processo, in merito a un episodio violento, perpetrato ai suoi danni in ambito domestico. Sulla scorta di tale denuncia, con conseguente istruzione del relativo giudizio penale, era così finito sul banco degli imputati, circa l’ipotesi di maltrattamenti in famiglia, il marito della donna, un 45enne cittadino marocchino residente, assieme alla coniuge e i quattro figli, in un comune dell’hinterland cittadino. In particolare, la donna aveva riferito di come nella circostanza il compagno, al culmine di un litigio, con lei al termine della quarta gravidanza, l’avesse colpita in testa con un pugno. Da lì era quindi stata mandata in ospedale dalle assistenti sociali comunali per effettuare una visita di controllo e farsi così refertare. Un responso medico fortunatamente però dall’esito negativo per quanto concerne possibili conseguenze sia per lei che per il bimbo che portava in grembo. Un evento del tutto isolato, aveva riferito la stessa parte lesa in aula in corso d’istruttoria dibattimentale, e dettato, sempre secondo il suo racconto, da frequenti alterchi all’interno della coppia afferenti prettamente motivi economici. L’accusato infatti – difeso dall’avvocato Erica Pezzoli – sul finire del 2017, proprio in concomitanza con l’arrivo del quarto figlio, sarebbe stato preso da assillanti timori circa il mantenimento della famiglia in procinto, a stretto giro, di allargarsi ulteriormente. Preoccupazioni motivo di scontro e discussione con la moglie ma mai, sempre secondo la stessa donna, tali da sfociare in aggressioni e sopraffazioni fisiche, tanto meno in presenza delle prole. Testimonianza ritenuta altresì «matura e attendibile» dallo stesso pubblico ministero Pierlorenzo Franceschini, che ieri, al termine della propria requisitoria, ha quindi proposto istanza assolutoria – perché il fatto non sussiste – nei confronti del 45enne nel frattempo ritenuto, nell’argomentazione dello stesso Pm perfettamente ristabilito nel «proprio equilibrio familiare». Richiesta a cui si è associata pure la difesa. Un po’ a sorpresa però il collegio giudicante ha ritenuto l’imputato responsabile condannandolo a due anni con pena sospesa.